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Il morire è questione che riguarda singolarmente ciascuno di noi, ma mai puramen­te individuale, nel senso che accade all’interno di una trama di relazioni sociali e civili.

Questo principio personalista è infatti tutelato della nostra Costituzione, ambito nel quale non possiamo non situare la comprensione dei concetti chiave di tale questione.

Il dibattito è stato prepotentemente riaperto con il noto caso di Luca Coscioni e la proposta di referendum nel 2021.  L’obiettivo del quesito referendario era depenalizzare l’omicidio del consenziente, punito dall’articolo 579 del codice penale con la reclusione da 6 a 15 anni, con alcune eccezioni, vale a dire che qualora riguardi un minore, si applicano le pene previste per l’omicidio. Pur avendo raggiunto ampiamente il quorum delle firme il referendum però non è stato autorizzato dalla La Corte Costituzionale che ha ritenuto inammissibile il quesito referendario perché, «a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma sull’omicidio del consenziente, cui il quesito mira, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili»

Innanzitutto, bisogna fare chiarezza sui i termini per accompagnare la propria fine vita.

Il termine eutanasia indica l’atto di procurare intenzionalmente e in modo indolore la morte di una persona cosciente e in grado di capire le conseguenze delle proprie azioni e che ne fa esplicita richiesta. L’eutanasia è illegale in Italia (articolo 579, omicidio del consenziente).

Il suicidio assistito, cd morte volontaria medicamente assistita, indica l’atto attraverso cui la persona che ne fa richiesta, sempre nelle sue piene capacità cognitive, si autosomministra il farmaco letale per porre fine alle proprie sofferenze. Tale pratica è stata attuata la prima volta in Italia a giugno 2022 da Federico Carboni a causa della sua malattia incurabile e dolorosissima, autorizzata da una Sentenza della Corte Costituzionale dopo una lunghissima vicenda di richieste giudiziali.

La sospensione e il rifiuto delle cure sono previsti dall’articolo 32 della Costituzione – “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”- e dall’articolo 13 -“La libertà personale è inviolabile”. Tali diritti sono ribaditi dalla recente legge 219 del 2017: “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. Tra questi trattamenti rientrano la nutrizione e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione di nutrienti attraverso dispositivi medici. La rinuncia a questi, così come agli altri trattamenti come la giurisprudenza afferma (farmaci e/o assistenza), può avere come conseguenza diretta o indiretta la morte della persona che revoca il proprio consenso.

La sedazione profonda, infine, ha lo scopo di ridurre il dolore intrattabile riducendo la coscienza della persona che la richiede fino al suo annullamento. Possono farvi ricorso persone affette da malattie in stadio avanzato e i cui sintomi sono intrattabili altrimenti ed è quella che viene attuata maggiormente.

la rivendicazione del diritto a morire, spesso declinato come diritto a un suicidio medicalmente assistito, non è, perciò, contemplato dalla nostra legislazione ed è estremamente problematico comprenderlo tra i diritti inviolabili della persona o farlo derivare dal diritto alla libertà personale. Da questi diritti deriva piuttosto l’imperativo alla tutela della vita come base per il godimento di ogni altro diritto, con particolare riguardo per chi è più debole e vulnerabile.

È la Corte costituzionale stessa a metterci in guardia contro «una concezione astratta dell’autonomia individuale che ignora le condizioni concrete di disagio o di abbandono nelle quali, spesso, simili decisioni [di suicidio] vengono concepite» (Ordinanza n. 207/2018, n. 7). Tale posizione è ribadita da disposizioni penali che vietino «condotte che spianino la strada a scelte suicide», affermando che il primo dovere dello Stato nei confronti delle persone anziane, malate, sole, psicologicamente provate è predisporre politiche pubbliche che garantiscano cure e sostengano un contesto di prossimità e di solidarietà.

Tuttavia, l’imperativo alla tutela della vita non deve trasformarsi mai nell’obbligo a rimanere vivi a tutti i costi, anche se il diritto al suicidio assistito e il diritto alla sospensione delle cure sono qualcosa di profondamente diverso.

È indispensabile però abbandonare tutte le posizioni ideologiche o i principi astratti, l’obiettivo, infatti, non è quello di avere una legge, ma di averne una buona legge, che si inserisca nel saldo impianto della tutela della persona della nostra Costituzione, tutelando il diritto alle cure e all’assistenza e promovendo forme di prossimità e di solidarietà che rendano il riscorso a decisioni estreme un’opzione a cui tendenzialmente nessuno senta il bisogno di ricorrere e alle quali ricorrere come estrema ratio.

Con il Testamento Biologico, comunque,  ogni cittadino può indicare le Disposizioni anticipate di trattamento, ovvero a quali trattamenti sanitari, tra quelli ritenuti leciti nel nostro ordinamento,  intende essere sottoposto nel caso in cui non fosse più in grado di comunicarle ai medici.

 

 Silvia Castronovi