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Il nonno della Medaglia d’Oro era Modesto Orzali da Lucca, noto e stimato
imprenditore edile, il quale ebbe 12 figli; il primogenito dei quali è Gaetano, Padre dell’Eroe.
Gaetano Orzali, fu Ingegnere Architetto, residente in Genova dal 1900, dove ha sempre
svolto la sua attività professionale. Egli fu ufficiale volontario nel Genio, durante la prima
guerra mondiale. Il 7 agosto 1898, in Lucca, Gaetano Orzali sposò Olimpia Puccinelli.
Ebbero 5 figli: Anna Maria, Alessandro,
Giuliano, Giovanni Battista, Angelo (la
MOVM) e Anna Maria. Questa, nata a Lucca
il 18 giugno 1899, sposata ad un Magistrato
(Achard), emerito patriota, che incorse in una
serie di disavventure durante l’occupazione
tedesca. Alessandro, nato a Lucca il 18
novembre 1901, ingegnere civile, ufficiale del

genio in guerra, comandante di reparti foto-
elettricisti, operanti prima in Albania e poi per

la difesa di Genova, dove venne catturato per
essere deportato in Germania. All’atto della
liberazione, nel dopoguerra, riprese la sua
attività di tecnico, nelle opere per la
ricostruzione nel dopoguerra; in particolare,
per la ricostruzione dello stabilimento
“ILVA” in Bagnoli (Napoli). Giuliano, nato a
Lucca il 26 luglio 1904. Trascorrerà molto
tempo in Marina Militare, prima di leva, poi,
sempre in prima linea, in Africa orientale, poi
in Albania ed altrove con il Reggimento “San
Marco”; infine, in Tunisia, dove venne fatto
prigioniero con tutto il suo reparto che per
intero venne deportato in America, da dove
ritornò dopo due anni e mezzo. In seguito, si
dedicò al commercio in Genova. Giovanni
Battista, nato a Viareggio il 19 settembre 1908, Ufficiale di complemento dei Granatieri,
prestò il servizio di leva nel 3° Reggimento Granatieri. Successivamente, partecipò alla
guerra, passato negli Autieri, al comando di un Autoreparto, fu impiegato in Somalia e in
seguito, al comando del 25°, ne grado di Capitano, fu in Russia dove combattè per ben due
anni per poi essere rimpatriato per avvicendamento, poco prima della ritirata. Dopo la guerra,
geometra, è stato funzionario presso l’Ufficio Tecnico del Comune di Lucca. Infine, il più
giovane dei figli, Angelo, nato casualmente in Viareggio (Lucca) dove la famiglia si recava a
passare l’estate, il 17 agosto 1913.  Compì gli studi secondari dal 1924 al 1929 nel Liceo
Scientifico di Pisa; frequentò, quindi, il primo anno di Università in Roma e i restanti in
Genova dove conseguì poi la laurea in “Ingegneria Civile” nel 1936.

Nel frattempo, chiamato alle armi il 30 novembre 1933, fu ammesso a ritardare la
partenza perché studente universitario. Fu poi destinato, il 1° aprile 1935, alla Scuola di Brà
(Cuneo) come allievo ufficiale di complemento della specialità artiglieria alpina.
Aspirante Ufficiale di Complemento di Artiglieria Alpina, assegnato al 2° Reggimento
d’Artiglieria, vi presta il servizio di prima nomina. Nominato Sottotenente di complemento a
far data dal 1° agosto 1936, il 18 agosto successivo, in Campo Tures, prestava giuramento di
fedeltà. Inviato in Africa
Orientale, prese parte alle
operazioni di grande polizia
coloniale fino al 15 maggio
1937. Rimpatriato per
mobilitazione e inviato in
congedo, ormai ingegnere
esperto, esercitò da subito
la professione in Genova
per pochi mesi,
successivamente in
Germania, dove per due
anni e mezzo attese a lavori
per quello Stato, in
particolare, ponti ed
autostrade e dove fu anche
animatore e organizzatore di figli di Italiani colà residenti, che nei due anni là vissuti,
accompagnava al mare in Patria. Il 28 luglio 1938, in Stoccarda, sposava Leonore
Heidenreich nata ivi il 30 giugno 1916; avranno due figli: Isabella (n. 16 ottobre 1940) e
Marco (n. 26 giugno 1942).
Richiamato alle armi il 18 luglio 1940, venne assegnato alla 31a Batteria del Gruppo
“Bergamo”, sempre del 2° Reggimento d’Artiglieria Alpina, con il quale partecipò dal
novembre dell’11 novembre al 23 aprile 1941 alla guerra sul fronte greco-albanese.
Rientrato in Patria il 5 luglio 1941, un anno più tardi, il 25 luglio 1942, partiva con il
detto reparto per il fronte russo dove, il 5 settembre 1942, veniva promosso Capitano di
complemento con anzianità dal precedente 17 luglio.
Nella campagna di Russia, dopo una serie di alterne vicende belliche, gli ultimi resti
delle forze italo-tedesche-ungheresi, provate, oltre che dai combattimenti, dal gelido inverno
russo, si ritrovarono ad affrontare alcuni reparti dell’Armata Rossa, asserragliatisi nel
villaggio di Nikolaevka per bloccare la fuga dalla grande sacca del Don.
Nel corso dei mesi precedenti, le forze sovietiche avevano già accerchiato la 6a Armata
tedesca a Stalingrado (operazione “Urano”) e sbaragliato completamente le armate rumene e
gran parte dell’8a Armata (operazione “Piccolo Saturno”), aprendo grandi varchi nelle
precarie linee difensive dell’Asse.
La Battaglia di Nikolaevka,  combattuta il 26 gennaio 1943, fu uno degli scontri più
importanti durante il caotico ripiegamento delle residue forze dell’Asse nella parte
meridionale del fronte orientale, a seguito del crollo del Fronte sul Don, dopo la grande
offensiva dell’Armata Rossa iniziata il 12 gennaio 1943 (offensiva Ostrogorsk-Rossosc).
Il 26 gennaio 1943, già dalle prime ore del mattino, la colonna formata dalle truppe
italiane in ritirata, cui erano aggregati reparti delle altre potenze dell’Asse (specialmente
tedeschi e ungheresi), venne fatta oggetto di un bombardamento da parte di quattro aerei
dell’Armata Rossa. Alla Divisione Tridentina, unica delle divisioni italiane ancora in grado di
combattere, fu assegnato il compito di iniziare l’assalto al villaggio. Malgrado lo

sbandamento che truppe in ritirata avrebbero dovuto avere, gli italiani riuscirono a sostenere
l’attacco dei sovietici in maggior misura dotati di armi pesanti e artiglieria.
Nella serata, gli uomini della Tridentina, guidati dal generale Luigi Reverberi,
riuscirono ad aprire un varco fra le linee sovietiche grazie all’impiego di un unico carro
armato tedesco ancora utilizzabile e alla disperata lotta per sfuggire all’accerchiamento.
I cannoni del Gruppo “Bergamo” al comando del capitano Angelo Orzali ormai da
tempo giacciono abbandonati nella steppa, per mancanza di rimorchi e munizioni. Orzali,
quindi, raduna i suoi artiglieri, comunica loro che si sta allestendo una squadra per andare
all’attacco di questo che si pensa sia
l’ultimo ostacolo verso l’uscita dalla
sacca. In parecchi, lo seguono non
hanno armi, ma sul pendio è sul
terrapieno ce ne sono tante. Pare che
prima di avviarsi Orzali raccomandi a
qualcuno di dire ai figli, ne ha due
piccoli, che l’ultimo pensiero è stato
per loro. Orzali e la sua esigua
formazione strisciano, assaltano,
sparano, scoprono che Nikolajevka è
un dedalo di viuzze, che i nidi di
mitragliatici stanno ovunque, che ad
ogni mortaio eliminato ne spuntano
due. Ed è proprio una bomba di
mortaio che esplode nei pressi di Orzali: il capitano è attinto da una miriade di schegge.
Niente di troppo grave, molto più preoccupante è la barricata che ostruisce la via. Al suo
segnale si riparte partono all’assalto. Arriva un’altra salva di granate, Orzali ne ha le gambe
squarciate. L’ordine è non fermarsi a curare i caduti. La barricata è espugnata, ora c’è il tempo
per soccorrere i feriti, ma Orzali impone che gli altri abbiano la precedenza. Orzali conobbe
così il Suo olocausto  nel compimento delle gesta mirabilmente lumeggiate nella
motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare:
«Residente all’estero, otteneva di essere richiamato in Patria per prendere parte attiva
al conflitto.
Al fronte occidentale e su quello greco-albanese si prodigava senza economie animato
da fede incrollabile e da indomito coraggio.
In Russia in dure marce di ripiegamento ostacolate da imponenti schieramenti nemici è
sempre in testa con la più avanzata compagnia alpini.
In una azione particolarmente grave per la superiorità del nemico che produce vuoti
paurosi nelle nostre truppe, forma di iniziativa una grossa squadra di fucilieri muove
all’attacco di munitissime postazioni nemiche.
Ferito una prima volta in varie parti del corpo trascina ancora i suoi uomini all’attacco
fino a quando un secondo colpo gli stronca gli arti inferiori.
Caduto, addita ai superstiti la posizione nemica che viene raggiunta e trova parole di
conforto per i feriti che ha vicini.
Ai sopraggiunti che vogliono soccorrerlo comanda con la pistola in pugno che siano
messi in salvo prima tutti gli altri feriti; lui raggiungerà per ultimo il posto di medicazione.
Conscio della propria fine, rincuora quelli che gli sono vicini e trasmette per i suoi
bimbi lontani l’imperativo che è stato dogma della sua giovane vita dare tutto per la Patria,
senza rimpianti, senza economie». Nikolajewka (Russia), 26 gennaio 1943.

Capitano CC aus. Vincenzo Gaglione