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Il raggruppamento e il riposizionamento delle forze russe proseguono, così come i bombardamenti sistematici delle infrastrutture strategiche in profondità e delle aree urbane a contatto, ma al di là del lento ripiegamento ucraino nel nord dell’oblast di Luhansk e della rioccupazione del confine di stato a ovest di Kharkiv non si assiste a manovre significative sul campo.

In mancanza di eventi di rilievo in ambito operativo, l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica si rivolge una volta di più al fronte diplomatico e al dibattito sui crimini di guerra.

In realtà anche il fronte della diplomazia è piuttosto avaro di notizie, con le trattative in Turchia che ristagnano per l’evidente mancanza di interesse di entrambi i partecipanti, e l’unico avvenimento è la sospensione della Russia dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU. In realtà si tratta di una questione completamente priva di valore in sé, ma il fatto che solo 24 Nazioni si siano opposte è indicativo dell’isolamento internazionale in cui Putin è riuscito a portare la Russia. In un mondo in cui l’America e l’Occidente nel suo complesso sembravano aver perso la loro leadership consolidata, appare notevole come non solo l’Occidente stesso abbia ritrovato una unità di intenti che non si registrava da decenni, ma che sia riuscito ad attrarre nuovamente dalla sua parte la vasta maggioranza delle Nazioni.

Se a questo aggiungiamo l’imminente ingresso di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica, vediamo come l’azione di Putin – dichiaratamente volta a ridurre la presenza della NATO al suo confine occidentale – stia generando l’esatto opposto di quanto voluto.

 

Il secondo campo su cui converge l’attenzione generale è quello delle atrocità commesse dai russi nelle zone occupate. Ora che anche uno dei pochi media russi indipendenti e i Servizi Intelligence tedeschi forniscono prove concrete dei crimini di Bucha, le proteste delle autorità russe appaiono sempre più prive di sostanza. Nel contempo però emergono anche – come c’era da aspettarsi – i primi segnali secondo cui anche le forze ucraine potrebbero essersi macchiate di crimini nei confronti di prigionieri o di feriti russi sul campo.

Indipendentemente dai singoli casi, questa è chiaramente una guerra a così alta intensità e condotta ad un tale livello di violenza che i singoli casi di violenza dovuta a perdita di controllo da parte di combattenti non sufficientemente addestrati non potranno che moltiplicarsi.

Se poi dovesse essere anche confermato che talune formazioni – come il gruppo privato Wagner – avrebbero emanato istruzioni precise di commettere eccessi contro la popolazione, saremmo davanti ad autentici crimini di Stato; crimini che però dovranno essere debitamente documentati.

 

Tornando però al fenomeno italiano della divisione dell’opinione pubblica in opposte “tifoserie” di cui abbiamo parlato ieri – una volta tolti dal quadro gli agenti diretti di Mosca e i cospirazionisti che ormai si comportano come adepti ad una setta religiosa – vorrei approfondire il discorso relativo ai cosiddetti “neutrali”.

Come ho specificato spero chiaramente, questo gruppo non solo promuove istanze assolutamente legittime, ma ricopre anche un ruolo indispensabile in una democrazia: quello di rappresentare una sana opposizione alla linea di pensiero maggioritaria e quindi di impedire eccessi “interventisti” che potrebbero effettivamente rappresentare un serio rischio per la comunità internazionale.

Detto questo però vorrei provare ad analizzare – ovviamente dal mio punto di vista assolutamente individuale e non qualificato – le ragioni di fondo di questa posizione così radicalmente neutrale.

 

Così come per la maggioranza che – In Italia come in tutto l’Occidente – sostiene le ragioni dell’Ucraina intenta a difendere il suo territorio e le sue giovani istituzioni democratiche dalla brutale aggressione militare del regime autocratico della Russia di Putin, non mi sembra che questa fazione intenda negare in alcun modo le ragioni ucraine o i torti russi.

Mi sembra piuttosto che questi “neutrali” vogliano porre in risalto aspetti che evitino tanto la beatificazione di Zelensky che la demonizzazione di Putin allo scopo di rendere obiettivamente più semplice una composizione pacifica del conflitto.

L’opinione maggioritaria, con la quale mi trovo personalmente concorde, si è convinta insieme al governo ucraino e a quelli occidentali che la posizione russa sia ancora troppo rigida per consentire trattative serie in cui l’Ucraina non debba essere costretta a concessioni cui non è disposta e che fra l’altro non appaiono congrue all’attuale esito dei combattimenti in corso. In altre parole, perché l’Ucraina dovrebbe accettare una mutilazione territoriale nel momento in cui è tutt’altro che sconfitta sul campo?

 

Il punto è questo. Dal punto di vista dei “neutrali” dovrebbe accettarla per porre termine ai combattimenti e quindi abbattere il rischio di un’escalation nucleare.

Il fatto è che l’Occidente è di fatto coinvolto direttamente nel conflitto. Siamo in guerra, e l’unica ragione per cui le forze della NATO non stanno combattendo è che i governi occidentali non intendono rischiare questa escalation. Ma a tutti gli altri effetti siamo parte della guerra e ne stiamo sostenendo il costo economico mentre gli ucraini combattono sul campo.

L’indignazione per l’aggressione russa è stata tale che l’opinione pubblica occidentale ha sostenuto questo “intervento limitato” con molta maggiore facilità di quanto mi sarei aspettato (e soprattutto di quanto Putin si aspettasse). Rimane però un largo strato che si trova profondamente a disagio con questa realtà; oltre ai cospirazionisti che si limitano a rilanciare le loro colorate teorie (in larga parte originate a San Pietroburgo), i “neutrali” lottano contro il coinvolgimento occidentale.

 

Per molti versi la loro posizione ricorda quella dei neutralisti italiani nel 1914-15 e il “sacro egoismo” di Giolitti. Si tratta in effetti di una posizione egoistica, per cui l’Occidente dovrebbe premere sull’Ucraina affinché questa accettasse di pagare da sola il prezzo della pace di tutti nei confronti della Russia; ed è un egoismo “sacro” (cioè giustificato) in quanto il fine non sarebbe tanto la nostra serenità, quanto la sicurezza del pianeta dal rischio di un olocausto nucleare. Insomma: una “realpolitik”, nella quale anche i principi più sacri si devono piegare alle amare necessità della vita reale in cui esistono le armi nucleari.

 

Ma è davvero così?

In teoria sarebbe facile: basterebbe che l’Occidente smettesse di sostenere militarmente l’Ucraina. Questa sarebbe costretta a piegarsi alla superiorità militare russa e ad accettare buona parte delle richieste di Putin. Questi vedrebbe vendicata la propria politica aggressiva al netto delle perdite subite e sarebbe acclamato in patria come un eroe e nel mondo come un grande statista. Probabilmente la Russia dovrebbe leccarsi le ferite per almeno una decina di anni, ma intanto celebrerebbe le proprie glorie nazionalistiche in attesa di nuove imprese, sicura della sua impunità di potenza nucleare. Nel frattempo, pianificherebbe con cura le sue prossime conquiste in Moldova, in Georgia, o magari nel Baltico sfruttando le minoranze russe colà discriminate per annullare il rischio “Articolo 5” della NATO, la quale nel frattempo sarebbe incrinata da frustrazione e discordie interne.

Ma soprattutto, altri animali più pericolosi degli orsi vedrebbero nuove opportunità da cogliere con immediatezza.

Attenti quindi a non dare soddisfazione all’orso Vladimiro…