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Negli ultimi due post ho introdotto l’espressione relativa all’”apertura delle porte di Giano”.
Come suggerisce il nome latino, Giano (Ianus) è il dio del passaggio (che si compie, in origine, attraverso una porta, in latino ianua); in particolare è il dio degli inizi di un’attività umana o naturale, oppure di un periodo. Solitamente è raffigurato con due volti (il cosiddetto Giano Bifronte), poiché il dio può guardare il futuro e il passato. Le porte del suo tempio nel Foro Romano venivano aperte in tempo di guerra, a significare il passaggio dalla condizione di pace a quella bellica.
Cosa c’entra?

La guerra è una condizione assolutamente normale nella vita umana, anche se nei nostri tempi felici (di cui tendiamo a lamentarci anche troppo) tendiamo a dimenticarcene. Si tratta di una condizione normale e radicata nel nostro inconscio, anche se naturalmente tendiamo a rifuggerne istintivamente per ovvie ragioni… Esattamente come rifuggiamo dal cadere nell’acqua anche se sappiamo nuotare benissimo.
Di nuovo: Cosa c’entra?

La guerra non è una condizione assoluta, binaria, come l’essere incinta oppure no: esistono un’infinità di situazioni intermedie fra la pace completa e la guerra totale; ciò non toglie che la massa della popolazione – cioè l’”opinione pubblica” – abbia una percezione binaria, e che questa corrisponda alla condizione “legale” di pace e/o guerra che è stata introdotta in tempi relativamente recenti (in termini di evoluzione umana).
La “dichiarazione di guerra” è uno strumento legale, esattamente come lo è la firma di un trattato di pace. Ma illudersi che da questi strumenti legali dipenda la condizione effettiva di pace o di guerra è – appunto – illusorio; quanto dare per scontato che una coppia non sposata osservi l’astinenza.
Nessuna guerra è stata dichiarata dal 1945 ad oggi; ma spero nessuno vorrà credere che negli ultimi 77 anni il mondo sia stato in pace. La Guerra di Corea non è stata dichiarata, anche se è durata oltre tre anni: è iniziata con un attacco a sorpresa da parte dei comunisti e si è conclusa con un armistizio assolutamente provvisorio anche se tuttora in atto. Lo stesso è accaduto in tutte le deflagrazioni del conflitto Arabo-Israeliano, con il Vietnam, con le varie Guerre del Golfo e con quelle Afghane e Indo-Pakistane.
Ovviamente è stato così anche con la guerra in corso in Ucraina, che infatti il Cremlino non solo ama definire “Operazione Militare Speciale”, ma punisce perfino con la reclusione chi in Russia lo definisce una “guerra”.
Perché questo?

Le guerre un tempo erano un affare circoscritto.
Per quanto violente potessero essere, tendevano ad essere una questione “a due”, dove il resto del mondo assisteva magari con interesse, ma senza essere coinvolto direttamente. Già con le guerre napoleoniche questo ha cessato di esere vero: il blocco navale britannico contro la Francia e il conseguente “blocco continentale” francese ebbero un impatto sull’economia dei Paesi neutrali e condussero alla Campagna di Russia ed infine alla caduta di Napoleone.
Il “Balance of Power” che ne seguì, e che durò esattamente cent’anni fino alla I Guerra mondiale, fu un primo periodo durante il quale le Potenze per quanto Grandi scoprirono di non poter aggredire i vicini più piccoli senza rischiare una conflagrazione più grande di quanto fosse desiderabile.
In entrambi i conflitti mondiali, la situazione sfuggì di mano proprio a causa degli interessi globali e sovrapposti di tutte le Potenze, e oggi con l’esistenza delle armi nucleari questo è cento volte più vero: in un mondo “globalizzato”, perfino le Superpotenze sanno di non potersi permettere una guerra totale, perché i suoi effetti negativi travalicherebbero qualsiasi potenziale vantaggio ottenibile con l’uso della forza. Si limitano quindi a forzare la mano con conflitti minori o – appunto – con “Operazioni Militari Speciali”.
Inoltre, ufficializzareil conflitto con un atto legale quale una dichiarazione di guerra, implica la necessità di firmare un trattato di pace per concluderla, il che può rivelarsi praticamente impossibile: per arrivare ad un trattato occorre la sconfitta completa di una delle parti oppure una pacificazione, ed entrambe questi esiti sono diventati estremamente difficili da ottenere in quanto debellare l’avversario richiede una devastazione eccessiva mentre la pacificazione è resa impossibile dalla radicalizzazione ideologica.

In sostanza le guerre non si possono più “dichiarare” in quanto farlo aprirebbe un vaso di Pandora impossibile da richiudere: molto meglio combattere facendo finta di star facendo qualcos’altro, in modo da poter sempre smettere facendo finta di niente.

Insomma: le guerre ci sono, anche se non si dichiarano. E possono coinvolgerci anche se non sono avallate da un voto del Parlamento.
Per questo le dichiarazioni di chi è contrario al supporto all’Ucraina, secondo cui non avendo il Parlamento Italiano dichiarato lo Stato di Guerra, sarebbe sbagliato e addirittura “incostituzionale” aiutare una Nazione aggredita a difendersi, sono sbagliate nella sostanza pur avendo un certo senso dal punto di vista strettamente formale.
Se qualcuno scegliesse di mettere le cose in chiaro dal punto di vista giuridico, dichiarando una guerra che nessuno vuole, renderebbe anche molto più difficile porvi fine: perché per concluderla qualcuno dovrebbe riconoscere la sconfitta.

Insomma, la guerra non si può dichiarare; però c’è.
Una potenza nucleare ha aggredito una Nazione più piccola, dichiaratamente per impedirle di aderire al nostro sistema di alleanze e di adottare il nostro modo di vivere. E’ vero che non esiste una condizione di alleanza automatica che ci obblighi ad intervenire, ma visto che l’aggredito paga la sua volontà di unirsi a noi, esiste una chiara comunanza di ideali e di interessi che ci obbliga moralmente a prendere posizione. Perché agli occhi di Putin la colpa dell’Ucraina è di voler stare con noi: noi Europa, noi democrazie liberali e rappresentative, noi Occidente; non aiutare l’Ucraina a difendersi sarebbe eticamente una NOSTRA resa alla prepotenza di una dittatura, e questo istintivamente lo sentiamo un po’ tutti.
All’atto pratico però molti esitano, perché effettivamente aiutare l’Ucraina significa essere parte in un conflitto: significa essere in guerra. Di qui la foglia di fico della “dichiarazione di guerra” che non c’è, e quindi la convinzione di essere tuttora in pace.

Ma la situazione è diversa: il Parlamento ha autorizzato il Governo ad agire in concerto con tutti i nostri alleati per sostenere l’Ucraina in ogni modo, con il solo limite di evitare un’escalation che conduca ad un rischio nucleare.

Le Porte di Giano si sono aperte.
Ai tempi di Roma antica, la loro apertura era un atto simbolico: un “passaggio” da uno stato di pace ad uno di guerra; simboleggiava lo stato mentale della popolazione della città. Richiuderle era un altro atto simbolico che non richiedeva la firma di un trattato di pace, ma che simboleggiava uno stato d’animo di ritrovata serentà.
Oggi, anche se il Tempio di Giano è sepolto sotto Via dei Fori Imperiali, tutti noi sentiamo che quelle porte idealmente sono aperte, che ci piaccia oppure no, e questo ci fa sentire diversi perché qualcosa di fondamentale è combiato. Persone tranquille si sentono prese da sentimenti di rabbia e di desiderio di giustizia da ottenere con la forza per correggere una prepotenza, e se ne sorprendono.
E’ il risultato del passaggio ad una condizione di guerra, a cui non siamo abituati, che cerchiamo di evitare, ma alla quale siamo inconsciamente preparati.
Come quando cadiamo in acqua: una volta bagnati, cominciamo a nuotare.
Con le sue azioni, l’orso Vladimiro ha aperto le nostre Porte di Giano, che erano chiuse dal 25 aprile 1945; per poterle richiudere, ci toccherà soffrire.

Orio Giorgio Stirpe