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Francesco Verrotti nacque a Napoli il 6 maggio 1919. Il Padre, professore Giuseppe,
medico-chirurgo, professore ordinario e direttore della Clinica dermosifilopatica della Facoltà di
Medicina e Chirurgia Universitaria di Napoli, era di nobile famiglia abruzzese, originaria di
Pianella, vicino Pescara. La Madre, Rosa Miraglia del Giudice, era figlia dell’avvocato Enrico
Miraglia e della N.D. Maria del Giudice, che aveva lasciato di sé venerata memoria e largo
compianto quale nobile benefattrice. Il nonno paterno di Lei, Raffaele del Giudice, era stato
brigadiere generale dei Reali Eserciti Napoletani ed aveva sposato Caterina Marsich, sorella della
Madre dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera.
Il giovane Francesco compì gli studi ginnasiali a Catania,
dove il Padre era allora ordinario di clinica dermosifilopatica in
quella Regia Università. Frequentò dal 1929 al 1933 le scuole
dell’Oratorio Salesiano “San Filippo Neri”, meritando ogni
anno il diploma con medaglia di primo grado e continuò gli
studi a Napoli, dove il Padre era stato chiamato a dirigere la
clinica dermosifilopatica di quella R. Università.
Ultimati, giovanissimo, gli studi classici, si iscrisse alla
Facoltà di Giurisprudenza e si laureò 1940, a soli ventun anni di
età, con punti 110 su 110 e Lode. Durante gli studi universitari
Francesco Verrotti aveva adempiuto volontariamente al dovere
militare, frequentando il corso allievi ufficiali di complemento
riservato agli studenti universitari e compiendo nell’estate del
1938 il periodo applicativo di servizio presso il 94° reggimento
fanteria.
Nominato aspirante ufficiale di complemento, si presentò
1939 al 40° reggimento fanteria, per prestarvi il servizio di
prima nomina e due mesi dopo partì col reggimento per la
Libia. Trascorsi altri due mesi, rimpatriò per completare gli studi e, immediatamente dopo
conseguita la laurea, riprese servizio col grado di sottotenente. Nell’ottobre 1940 raggiunse
nuovamente in Libia il 40° Reggimento Fanteria della Divisione “Bologna”, allora comandato dal
colonnello Umberto Broccoli.
Dopo la controffensiva italo-tedesca della primavera del 1941, il reggimento fu impiegato in
Marmarica e precisamente nell’assedio della piazza di Tobruch, occupata dagli Inglesi.
Il Sottotenente Verrotti, che già durante precedenti di azioni di guerra aveva dato prova di
coraggio e serenità, prestava servizio nella compagnia comando reggimentale; forse ebbe
l’impressione che quell’impiego lo esponesse a minori pericoli e disagi dei colleghi delle altre
compagnie; fatto sta che insistette per ottenere il comando di un plotone fucilieri, il Colonnello
Alberto Vinaj, nuovo Comandante del reggimento, lo accontentò, destinandolo alla 1^ Compagnia

del I Battaglione. Quando la compagnia si schierò in linea, si offrì volontario per assumere il
comando di un caposaldo di plotone sito in località molto esposta e già bene individuata dal nemico.

Ecco così il sottotenente Francesco Verrotti comandante di un caposaldo avanzato della linea
di assedio di Tobruch nel deserto della Marmarica. Durissima è la vita dei combattenti intorno a
Tobruch. Due linee contrapposte, due mezzi cerchi concentrici grossolanamente tracciati con il
centro al porto di Tobruch. Sul cerchio più interno, più breve, è schierata la 70° divisione
britannica, una grossa divisione rinforzata su tre brigate e con 150 carri armati; sul cerchio esterno
sono dislocate tre piccole divisioni italiane, Brescia, Trento e Bologna che assediano la piazzaforte
occupata dagli Inglesi, e dietro a queste, in riserva, la divisione Pavia. Si tratta di un assedio di
caratteristiche particolari perché Tobruch, circondata sul fronte terrestre, è però in comunicazione
per mare con l’Egitto e riceve abbondanti rifornimenti di viveri, munizioni, armi. Mentre le
condizioni di vita degli inglesi assediati
sono perciò sopportabili, sono
penosissime quelle degli italiani
assedianti. Ogni scatoletta di carne, ogni
pagnotta, il pezzo di formaggio, la
granata, la bomba a mano, vengono da
lontano; Bengasi è a 490 chilometri di
camionabile ed a Bengasi, in quella
tremenda estate del 1941, giunge soltanto
ciò che scaricano le poche navi superstiti
dei convogli falcidiati dagli attacchi degli
aerei e dei sommergibili avversari.
Assedianti e assediati si scrutano, ma vedono ben poco, perché il terreno, tutto gobbe una
simile all’altra, limita l’azione di osservazione. Magri cespugli spinosi affiorano, ma nessun albero,
nessun segno caratteristico attenua l’uniformità della tormentata superficie del deserto, Al di là della
cresta di dune che sta dinnanzi è l’ignoto. A metà novembre 1941 era quasi terminata la
preparazione di un attacco italo-tedesco contro Tobruch e contemporaneamente l’8^ Armata
britannica, in Egitto, era pronta per attaccare l’armata italo-tedesca allo scopo di liberare la
guarnigione britannica assediata. Da qualche giorno fervevano gli ultimi preparativi per l’attacco
conto la piazza: più intenso movimento di autocarri, tiri frequenti dell’artiglieria, spostamenti di
reparti. Il 40° Reggimento Fanteria era stato destinato a partecipare all’attacco e perciò il 15
novembre era stato ritirato con i due battaglioni I e II (il III era da tempo a Bardia) dalle posizioni
che occupava a cavallo delia via Balbia, per riordinarsi e reparti della divisione Pavia erano entrati
in linea. Nel pomeriggio del 17 novembre e nella notte successiva un violentissimo nubifragio si
abbatté sulla Marmarica: nel fondo degli avvallamenti l’arida sabbia si trasformò in fanghiglia,
negli “uadi” scorreva rapidamente, torbida, l’acqua. Dopo l’alba del 18 novembre pioveva ancora;
poi la furia degli elementi si acquieto. Gli uadi si disseccarono e i fanti si affrettarono a scavare di
nuovo nella sabbia, ridiventata arida, le postazioni e i fossi che l’acqua aveva livellato. In quella
stessa mattina, lontano, nel deserto, a cavallo della frontiera egiziana, colonne di carri armati, di
autoblinde, di autocarri, di jeeps avanzavano, fra nubi di polvere. L’Ottava Armata britannica,
proveniente dall’Egitto, si era messa in movimento: la battaglia per Tobruch stava per incominciare.

Il colonnello Vinaj ricevette tosto l’ordine di mettere a disposizione del comando della
Divisione Bologna il II Battaglione e di far occupare dal I Battaglione i capisaldi del settore a sud
della via Balbia, sulla linea di fronte a Tobruch.
La denominazione “capisaldi” potrebbe trarre in inganno circa l’effettiva consistenza di
queste rudimentali fortificazioni campali. Un “caposaldo di compagnia” occupava uno spazio di
terreno, grossolanamente di forma trapezoidale, ampio sul fronte 800-1.000 metri e in profondità
circa 300 metri, e comprendeva un certo numero di “centri di fuoco” variamente disposti e
distanziati l’uno dall’altro, armati di mitragliatrice, talvolta di un mortaio, taluni, pochissimi, di un
cannone controcarro. Ciascun centro era costituito da una piazzuola per l’arma e da una trincea
poco profonda per i fucilieri; non esistevano ricoveri, né ripari efficaci contro le armi del nemico,
perché il terreno roccioso, ricoperto di due palmi di terra sabbiosa, impediva di approfondire gli
scavi. Reticolati poco consistenti proteggevano soltanto parzialmente i centri di fuoco e il fronte del
caposaldo. Più piccolo era il “caposaldo di plutone” e con minor numero di “centri di fuoco” e tra
caposaldo e caposaldo esisteva uno spazio vuoto – molte centinaia di metri, anche un migliaio – per
cui ciascuno di essi era isolato, abbandonato a sé stesso e, in caso di attacco nemico, la sua difesa
era esclusivamente affidata alla iniziativa, all’attività, al valore del comandante.
Verrotti assunse il comando del “caposaldo di plotone” n. 16, presidiato da un plotone della
1^ Compagnia, isolato nel deserto, collegato soltanto a vista con i capisaldi vicini: l’11° occupato
da un reparto tedesco, il 14° affidato alla 2^ Compagnia del 40° Fanteria. Assai più lontana la 3^
Compagnia aveva occupato il caposaldo n. 15 e metà della 1^ Compagnia il caposaldo arretrato n.
10.
Da questi particolari risaltano la gravità e la delicatezza del compito al quale il Sottotenente
Verrotti si era spiritualmente preparato fin da quando aveva volontariamente chiesto di comandare
un plotone di fucilieri, dimostrando di possedere eccezionale forza d’animo, fiducia in sé stesso,
Amore per la responsabilità e cioè le qualità proprie dei comandanti eccellenti.
Poiché egli adempì al suo dovere compiutamente fino al sacrificio di sé, risultano delineati il
carattere e la personalità di questo giovane ufficiale ed evidenti la tempra e la forza morale che in
lui si accompagnavano alla cultura ed alle esimie doti intellettuali.
Nel settore del I Battaglione del 40° Fanteria le giornate del 19 e del 20 novembre trascorsero
abbastanza calme; si udiva soltanto, lontano, un intenso cannoneggiamento. Era però imminente la
prova suprema.
Il 19 novembre una colonna motocorazzata britannica era stata arrestata e poi costretta a retrocedere
dalla divisione italiana Ariete, dislocata a Bir el Gobi, ma un’altra colonna di carri armati e fanteria
era giunta a Sidi Rezegh, a circa venticinque chilometri da Tobruch e ad appena una dozzina a tergo
della linea avanzata dello schieramento italiano fronteggiante la piazza. Suo compito era attaccare
da tergo il diaframma di truppe italo-tedesche che si interponevano fra la colonna stessa e Tobruch
mentre, contemporaneamente, la guarnigione della piazza avrebbe attaccato per affrettare il
congiungimento con l’Ottava Armata britannica, proveniente dall’Egitto.
L’asse lungo il quale si doveva sviluppare il duplice attacco attraversava precisamente il
settore sul quale esercitava il comando il colonnello Vinaj e che comprendeva i capisaldi difesi dal I
battaglione del 40° reggimento della divisione Bologna e dal II Battaglione del 27° Reggimento
della Divisione Pavia. Il comando britannico di Tobruch aveva concentrato contro questo settore
tutti i carri armati e la maggior parte dell’artiglieria di cui disponeva. Alle prime luci dell’alba del
21 novembre i cannoni inglesi aprirono improvvisamente il fuoco sulle difese italiane e tosto, sotto
la tempesta di granate, i capisaldi scomparvero alla vista di quelli più vicini, fra nubi di fumo e di

sabbia sollevata dagli scoppi. I capisaldi n. 16 e n. 14 furono ancor più degli altri sconvolti,
letteralmente spianati, durante un’ora e mezza di fuoco, Poi gli inglesi allungarono il tiro e carri
armati e fanteria avanzarono.  I fanti inglesi dovevano essere convinti che quell’uragano di fuoco
avesse annientato i difensori, se è vero ciò che narrò lo scrittore inglese Anthony Heckstall-Smith
che il 2° Battaglione “Black Watch” mosse all’attacco al suono delle cornamuse e subì tosto una
grave delusione.
Dal terreno sconvolto, da quei capisaldi che sembravano annientati, i difensori eroici, ancora
saldi al loro posto, avevano messo in azione le armi, e la lotta per sopraffarli fu dura, lunga e
sanguinosa. II caposaldo n. 16 sostenne il primo urto. È difficile, per chi non conosce per esperienza
propria il tragico ambiente nel quale si svolgevano quei combattimenti, rendersi pienamente conto
della situazione nella quale venne a trovarsi il sottotenente Verrotti, comandante di quel caposaldo,
il più isolato di tutti, perché alla estrema destra del battaglione. Su un giovane di ventidue anni
pesava una tremenda responsabilità: la difesa della posizione affidatagli e la vita di molti soldati.
Infatti il sottotenente Verrotti si trovò a dover affrontare un nemico potente e di forza soverchiante
essendo isolato nel punto più delicato del settore, lontano dai superiori e dagli stessi colleghi. Da
solo dovette
decidere, agire,
dare esempio di
serenità e di
valore ai
dipendenti; fu solo
nell’assordante
frastuono della
battaglia, solo fra
l’uragano dei
proiettili nemici,
solo fra combattenti, fra morti e feriti. Per fare ciò che gli meritò l’ammirazione dei dipendenti, il
riconoscimento dei superiori e degli stessi nemici, deve essere stato sostenuto da una forza d’animo
eccezionale. Riferirono i testimoni che dirigeva imperterrito il fuoco delle mitragliatrici e di un
cannone controcarro contro gli inglesi che avanzavano, fanti frammisti a carri armati che
comparivano e scomparivano tra il fumo dei proiettili scoppianti. Francesco Verrotti venne ferito
all’addome e rifiutò ogni soccorso; vide cadere ucciso il tiratore dell’unica arma controcarro e,
siccome ogni colpo di quel piccolo pezzo da 47 era prezioso, si trascinò a sostituirlo, fedele al
dovere da lui tanto profondamente sentito. Animati da tale esempio i fanti resistettero impavidi; poi
l’Eroe, colpito una seconda volta e più gravemente, al capo, giacque immoto e allora soltanto il
nemico poté avanzare oltre il caposaldo tanto valorosamente difeso.
La lotta proseguì intorno ai capisaldi 14 e 15, divenne accanita intorno al caposaldo della
dolina detta “del Fico”, agli ordini diretti del valoroso colonnello Vinaj. Poi l’impeto del nemico si
esaurì; la linea italiana che si era inflessa non si spezzò e le brigate corazzate inglesi che
attaccavano da sud-est e la guarnigione di Tobruch che attaccava da nord-ovest per quel giorno non
si congiunsero. Il diaframma aveva resistito per il sacrificio dei Caduti e dei superstiti. L’eroico
olocausto del Sottotenente Verrotti non era stato vano.
Il valore dei difensori fu riconosciuto dallo stesso nemico. Un ufficiale superiore inglese
manifestò al colonnello Vinaj, condotto prigioniero a Tobruch, la sua ammirazione per la bravura

dei suoi soldati e soggiunse che si meravigliava che avessero potuto resistere tanto a lungo con armi
che lanciavano “piselli” contro le corazze dei suoi carri armati.
Il personale della Sanità inglese raccolse il Sottotenente Verrotti, ne medicò il corpo
martoriato e lo trasportò all’ospedale di Tobruch, dove fu praticata anche la trapanazione del cranio.
Dopo tre settimane il ferito fu trasferito in Egitto e giunse all’Ospedale Militare del Medio Oriente a
Geneifa il 16 dicembre. Qui ebbe amorevoli cure da ufficiali medici italiani prigionieri di guerra e
in modo particolare dal prof. Renato De Blasio, assistente del Padre dell’Eroe, il quale gli prodigò
le più sapienti cure. Ebbe pure assidua assistenza spirituale dal Cappellano del 40° Fanteria, Don
Aldo Moretti, anch’egli prigioniero di guerra, all’ospedale di Geneifa. La gravità delle ferite fu
fatale; a nulla valse la scienza dei medici. Ricevuti tutti i conforti della Fede, Francesco Verrotti
concluse la sua esistenza terrena, serenamente come aveva vissuto e combattuto, alle 20,45 del 20
dicembre 1941.
Il 22 dicembre la Spoglia gloriosa fu
inumata nel Cimitero Militare di Geneifa con gli
onori militari.  Essa fu sepolto inizialmente in
quel Sacrario di El Alamein che testimonia del
sublime sacrificio di nostra gente nel deserto
dell’Africa Settentrionale, e nel maggio 1974 è
stato traslato nel Mausoleo di Penne.
La triste notizia pervenne alla famiglia, oltre
che in via ufficiale, con una lettera del prof.
Renato De Blasio. Al ritorno dalla prigionia Don
Aldo Moretti consegnò alla famiglia la “Medaglietta sacra” che l’eroico Francesco aveva portato
fino all’ultimo al collo e che recava su un lato l’immagine della madonna del Rosario e sull’altro
incisa la data di nascita.
Alla Sua memoria, conferita la MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE con la motivazione:
«Assunto volontariamente il comando di un importante caposaldo, resisteva con tenacia ed
ardimento ai reiterati, violenti attacchi nemici.
Ferito all’addome, rifiutava di lasciare il posto di combattimento e continuava ad incitare i
propri fanti.
Caduto il tiratore dell’unica arma controcarro, ne prendeva il posto e continuava l’impari
lotta fino a quando, ferito una seconda volta e più gravemente, cadeva privo di sensi sulla
posizione.
Catturato prigioniero e trasportato in ospedale, vi spirava dopo circa un mese di gravi
sofferenze sopportate con serenità e stoicismo». Marmarica, 21 novembre 1941
Diversi comuni nel tempo hanno inteso eternarne la memoria. Gli sono state intitolate vie a
Pescara, Gallarate, Catania, Napoli, Fano, Penne, Pianella, Fiumicino, Torricella Sicura.
Il comune di Pianella deliberò, il 18 dicembre 1970, di apporre una lapide nella sala del
Municipio, riportando la motivazione della Medaglia d’Oro. A cura dello stesso comune, nel 1974,
furono coniate due medaglie, la prima: «a ricordo delle solenni onoranze tributate dalle genti
d’Abruzzo all’eroe di Tobruch S.Ten. Francesco Verrotti M.O. al V.M. Pianella-Penne, 26 maggio
1974» e, la seconda: «per l’inaugurazione dell’Oratorio dedicato allo stesso personaggio». Sempre
in Pianella, collocato un monumento in bronzo con il busto del Verrotti (nell’immagine) e, ad Egli è
stato intitolato il Campo sportivo nella locale via Ancona.
Vincenzo Gaglione