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L’8 settembre 1943, alle ore 19:42, quando prima Radio Londra e poi quella italiana diffondono il comunicato ufficiale dell’avvenuta firma dell’armistizio chiesto dall’Italia agli angloamericani a da costoro accordato[1], l’isola di Cefalonia era presidiata dal grosso della Divisione di fanteria da montagna “Acqui”[2].

Perplessità e incredulità dapprima, poi scomposta gioiosità nei militari italiani e nei civili greci che fraternizzarono. Fra i soldati si epidemizza la convinzione che la guerra sia finita e il rientro in Patria immediato. Da parte tedesca, molta riservatezza. Per un poco si crede alla pace, purtroppo, non doveva essere così. Il giorno dopo, italiani e tedeschi sono di nuovo ai posti di combattimento. In realtà nella Grecia occupata le cose erano cambiate già dalla primavera del 1943: a luglio, di fatto l’XI armata italiana comandata dal generale Carlo Vecchiarelli, con sede in Atene, era passata agli ordini diretti del comandante delle truppe tedesche dell’Europa sud-orientale, il generale Alexander Löhr e, analogamente a quanto stava avvenendo nel resto dei Balcani, i comandi italiani non facevano molto per impedire ai tedeschi l’attuazione del loro piano “Achse[3]. Al 9 settembre, in tutta la Grecia, truppe tedesche occupano porti e aeroporti, circondano i contingenti italiani, li disarmano, il generale Hubert Lanz promette a Vecchiarelli il rimpatrio dell’XI armata, promessa sufficiente a convincere il generale italiano ad emanare l’ordine di resa ai tedeschi in tutta la Grecia[4]. Il gen. Antonio Gandin[5], comandante della “Acqui” dal giugno 1943, rifiutò di obbedire supinamente all’ordine, intavolando lui stesso trattative con il Ten. Col. Barge, comandante del Presidio tedesco nell’isola. L’“Acqui” in realtà non aveva via di scampo; le truppe erano sparse su un terreno aspro e montuoso, con scarse possibilità di manovra e poca artiglieria, in gran parte orientate a contrastare uno sbarco angloamericano; mentre i tedeschi nel frattempo raccoglievano forze necessarie per la conquista di Cefalonia[6]. Alle ore 12 del 14 settembre, Gandin consapevole ormai della inevitabilità dello scontro invia ai tedeschi una nota con la quale chiuse le trattative[7].

Alle ore 11 del 15 settembre 1943, due idrovolanti da trasporto tedeschi; appaiono nel cielo diretti verso Lixuri. Centrati dai cannoni antiaerei italiani, precipitano in mare. Verso le 12, venti Stukas prendono, indisturbati, possesso del cielo dell’isola e danno il via a massicci bombardamenti delle posizioni italiane. La battaglia ha così inizio; cesserà alle ore 14 del 22 settembre, dopo sette giorni, con la resa senza condizioni degli italiani. I superstiti della Divisione «Acqui» conosceranno, ancora più tristemente, la umiliazione del disarmo coatto.

La tragedia si sviluppò più grave dopo la resa, quando la vita ritornò ad essere inviolabile e riconsacrata di diritto. I soldati tedeschi avevano avuto 24 ore libere, a loro disposizione, dopo la resa. Cercarono i nostri ufficiali dappertutto nelle strade, nelle piazze, nelle case, negli ospedali, li presero feriti ammalati e li portarono tutti, insultandoli, davanti al plotone di esecuzione[8]. I militari italiani sono spogliati di ogni avere: denaro, orologi, anelli, perfino lettere e documenti di identificazione.

Compiuta la razzia, i tedeschi danno inizio alla strage. Dopo la carneficina, le salme ammassate nei pozzi di Troianata e di Lakitra, tra i sassi di Rizocuzzolo e irrorate con benzina vengono date alle fiamme, oppure affondate nelle acque Jonie al largo dell’isolotto di Verdiani e di Capo San Teodoro, nel tentativo di cancellare le tracce dell’eccidio. Da quel momento, per un’intera settimana il cielo dell’isola è illuminato dai bagliori dei roghi.

 

L’eroica condotta in combattimento dei Reparti troverà conferma nel conferimento della Medaglia d’Oro al Valor Militare per:

  • le Bandiere del 17°, 18° e del 317° Reggimento di Fanteria Divisione “Acqui”: «Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia, con il valore e il sangue dei suoi fanti, per il prestigio dell’Esercito italiano e per tener fede alle leggi dell’onore militare, disprezzò la resa offerta dal nemico, preferendo affrontare, in condizioni disperate, una impari lotta immolandosi in olocausto alla Patria lontana»[9].
  • lo Stendardo del 33° Reggimento Artiglieria “Acqui”: «Nella gloriosa e tragica vicenda di Cefalonia, con il valore e il sangue dei suoi artiglieri, primi assertori della lotta contro i tedeschi, per il prestigio dell’Esercito italiano e per tener fede alle leggi dell’onore militare, disprezzò la resa offerta dal nemico preferendo affrontare in condizioni disperate una impari lotta, immolandosi in olocausto alla Patria lontana»[10].
  • la Bandiera della Guardia di Finanza per il 1° Battaglione Mobilitato: «Temprato in numerosi aspri combattimenti, tenace nelle lotte più cruente, temerario negli ardimenti, pervaso da indomito spirito guerriero, teneva fede alle leggi dell’onore militare e, a fianco dei reparti della Divisione “Acqui”, nella tragica ed eroica resistenza di Cefalonia e di Corfù, dava largo, generoso contributo di sangue, battendosi in condizioni disperate ed immolandosi in glorioso olocausto alla Patria»[11].

Sulle quote contese, come al campo della morte presso la “Cassa Rossa” in Argostoli, una fioritura di episodi meravigliosi, che portarono al conferimento di ben 14 Medaglie d’Oro al Valor Militare. Esemplare di tante mirabili gesta, l’azione di un gruppo di sopravvissuti allo scontro, capeggiato dal Tenente Antonio Cei, che nelle prime ore del 22 settembre viene circondato mentre intento a organizzare gli uomini per la resistenza, si apprestava a distendere un drappo Tricolore. Un ufficiale tedesco, più che turbato offeso da così manifesto sprezzo per la morte, urla: «chinate la testa, curvate le spalle, piegate le ginocchia al cospetto delle nostre armi».

Il Tenente Cei però con i suoi soldati rimaneva eretto e guardava alto il cielo. Con ferocia inaudita furono fucilati sul posto. A eternare la memoria del Tenente di complemento Antonio Cei del 17° Reggimento Fanteria, la Medaglia d’Oro al Valor Militare, conferita – sul campo – con la seguente splendida motivazione:

«Grande assertore della lotta contro i tedeschi, fu tra i primi ad aprire le ostilità con il fuoco del suo plotone mortai. Durante duri combattimenti trascinava i suoi soldati ad una titanica lotta destando l’incontenibile ammirazione dei superiori e dei gregari per la sua fredda audacia che gli consentì, sotto il furioso spezzonamento e mitragliamento degli stukas, di caricare da solo, in un sol tempo, i suoi due mortai.

Divenuto l’anima della lotta e della resistenza, comandante dell’unico reparto organico ancora in armi, trovò il coraggio di opporsi, con un nucleo di eroi, alla potenza nemica che lo annientò».[12]

Dall’8 al 14 settembre 1943, caddero in combattimento: 1 ufficiale e 2 militari; dal 15 al 22 settembre, caddero in combattimento: 58 ufficiali e 1250 sottufficiali e uomini di truppa; dal 15 al 22 settembre, catturati dai tedeschi e trucidati: 151 ufficiali e 4300 sottufficiali e uomini di truppa; in data 27 settembre, prigionieri trucidati in Argostoli: 8 ufficiali e 1 militare; il 28 settembre, prigionieri trucidati a Capo San Teodoro e a Lordata: 1 ufficiale e 38 sottufficiali e uomini di truppa.  Superstiti: 152 ufficiali e 5984 sottufficiali e uomini di truppa[13].

 

Vincenzo Gaglione

 

Letture per approfondimenti:

 

  • Luca Baldissara, Paolo Pezzino, a cura di, Crimini e memorie di guerra, L’Ancora del Mediterraneo, 2004, Napoli
  • Luigi Ballarini, Cefalonia, Mondadori, 2005, Milano
  • Luisa Bove, Il giorno in cui mi padre non morì. Storia di un sopravvissuto all’eccidio di Cefalonia, In dialogo, 2016, Milano (Storia del sopravvissuto Gino Bove).
  • Camillo Brezzi, a cura di, Né eroi, né martiri, soltanto soldati. La Divisione “Acqui” a Cefalonia e Corfù, settembre 1943, Il Mulino, 2014, Bologna
  • Alfio Caruso, Italiani dovete morire! Il massacro della Divisione Acqui a Cefalonia, TEA, 2000, Milano
  • Marco De Paolis e Isabella Insolvibile, Il processo, la storia, i documenti, Viella, 2017, Roma
  • Massimo Filippini, I caduti di Cefalonia, fine di un mito, IBN Editori, 2006, Roma
  • Romualdo Formato, L’eccidio di Cefalonia, Mursia, 1968, Milano
  • Patrizia Gabrielli, Prima della tragedia. Militari italiani a Cefalonia e Corfù, Il Mulino, 2020, Bologna
  • Gruppo Medaglie d’Oro al Valore Militare, Le Medaglie d’Oro al Valore Militare, Volume secondo (1942-1959), Tipografia Regionale, 1965, Roma, p. 319 (Mastrangelo), p. 323 (MOVM Cei), p. 327 (MOVM Sandulli)
  • Isacem, Righini, b. 26, fasc. 4 (MOVM Cei Antonio)
  • Hermann Frank Meyer e Manfred H. Teupen (a cura di), Il massacro di Cefalonia e gli altri crimini di guerra della 1° divisione da montagna tedesca, Gaspari, 2012, Udine
  • Giuseppe Moscardelli (a cura di), Cefalonia, Tipografia Regionale, 1945, Roma
  • Vincenzo Palmieri, Quelli delle Jonie e del Pindo. “Aqui” e “Pinerolo” Divisioni Martiri nella bufera del Settembre 1943, Opera nazionale caduti senza croce, 1983, Firenze
  • Paolo Paoletti, I traditi di Cefalonia, F.lli Frill, settembre 2003, Genova
  • Giorgio Rochat e Marcello Venturi (a cura di), La Divisione Acqui a Cefalonia, Settembre 1943, Mursia, 1993, Milano
  • Elena Aga Rossi, La resistenza, l’eccidio, il mito, Il Mulino, 2016, Bologna
  • Nicola e Costantino Ruscigno, Patria senza Stato, Cefalonia, Settembre 1943 tra memoria e futuro, Edit@, Casa Editrice & Libreria, 2009, Taranto
  • Gian Enrico Rusconi, Cefalonia, quando gli italiani si battono, Gli struzzi, Einaudi, 2004, Torino
  • Enrico Solito, Cefalonia 1943, lettere dal massacro, Hobby & Work Saggi Storici, 2008, Milano
  • Virgilio Spigai, Lero, Società Editrice Tirrena, 1949, Livorno
  • Attilio Tamaro, Due anni di Storia, 1943-1945, Tosi Ed., 1948, Roma, Vol. I, pp. 523-524 e Vol. II, pp.43 e ss.
  • Mario Torsiello, Le Operazioni delle Unità Italiane nel settembre-ottobre 1943, Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, 1975, Roma
  • Marcello Venturi, La Bandiera bianca a Cefalonia, Feltrinelli, settembre 1963, Milano

 

Riviste e articoli stampa:

 

  • A Cefalonia quello strazio dei soldati massacrati, Patria Indipendente, quindicinale, del 20 aprile 2008, pp. 25-27
  • La Resistenza dei militari italiani all’estero. Grecia continentale e isole dello Ionio, di Giovanni Giraudi, Rivista Militare, Ministero della Difesa, 1995, Roma
  • Il sacrifico della “Acqui”, Patria Indipendente, quindicinale, 18 settembre 1960, pp. 1 e 10
  • Cefalonia, Il Nastro Azzurro, settembre-ottobre 1960, n. 8
  • L’eroismo di molti ufficiali e soldati salvò l’onore dell’Esercito italiano, Il Tempo, mercoledì 11 settembre 1963, p. 8
  • La tragedia di Cefalonia nei ricordi d’un sopravvissuti, Notiziario Associazione nazionale combattenti e reduci, nn. 8 e 9, agosto-settembre 1962, pp. 14-16
  • I giorni di Cefalonia, di Attilio Andolfi (artigliere sopravvissuto all’eccidio perché in ospedale), Presenza, gennaio-febbraio 2009, pp. 10-11
  • Il martirio di Cefalonia, di Leonildo Tarozzi, Notiziario Associazione nazionale combattenti e reduci, n. 8, pp. 14-16, agosto 1960

 

In rete:

 

  • https://www.movm.it/gruppo-movm/
  • https://museonazionaleresistenza.it/story/il-massacro-della-divisione-acqui/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] https://video.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/badoglio-annuncia-l-armistizio-dell-italia/139334

[2] Su tre Reggimenti 17°, 18° e 117° fanteria ed il 33° Rgt. artiglieria da campagna con obici da 75/13 e da 100/17, alcune batterie costiere, una Compagnia genio e vari reparti logistici e di sanità. Il 18° Reggimento era dislocato a Corfù. Vi erano 370 Carabinieri, suddivisi tra la 2^ Cp. del VII Btg. (298 agli ordini del Cap. MAVM Giovanni Mario Gasco e la 27^ Sezione del Ten. MOVM Sandulli Mercuro Alfredo (circa 70) e una Compagnia di Finanzieri alcune batterie e reparti di marina al comando del Capitano di fregata MOVM Mario Mastrangelo. In totale era composta da circa 12.000 uomini; 3.500 quadrupedi, 120 automezzi, 70 motociclette, 270 fucili mitragliatori, 80 mitragliatrici, 126 mortai da 45 e 30 da 81, 8 pezzi antiaerei da 20, 8 da 47/32, 8 da 65/17, 24 da 75/13, 12 da 100/17.

[3] Predisposto dai tedeschi sin al 25 aprile, in caso di uscita dell’Italia dalla guerra: occupazione dell’Italia, disarmo di tutte le truppe italiane e deportazione di chi si fosse opposto.

[4] Ordine n. 02/25006, in Vincenzo Palmieri, Quelli delle Jonie e del Pindo. “Aqui” e “Pinerolo” Divisioni Martiri nella bufera del Settembre 1943, Opera nazionale caduti senza croce, 1983, Firenze, p. 25

[5] Gruppo Medaglie d’Oro al Valore Militare, Le Medaglie d’Oro al Valore Militare, Volume secondo (1942-1959), Tipografia Regionale, 1965, Roma, p. 327

[6] I Tedeschi avevano nell’isola un contingente con il 996° Reggimento su due battaglioni di granatieri da fortezza rinforzato dalla 202a Batteria semoventi con 9 cingolati del Tenente Jakob Fauth. In tutto 1800 uomini comandati dal Ten. Col. Hans Barge.

[7] Con la nota frase: «(…), la divisione Acqui non cede le armi”. Ufficio Storico dell’Esercito tedesco.

[8] Operazione “Verrat” (“Tradimento”). Il 15 settembre, all’esito della rottura delle trattative, verrà stabilito che “gli ufficiali italiani che oppongono resistenza debbono essere fucilati”. Il 18 successivo, “a Cefalonia non deve essere fatto alcun prigioniero italiano a causa dell’insolente e proditorio contegno da essi tenuto”. Cfr. Diario di Guerra del Comando Supremo FF.AA. tedesche Vol. III, pp. 1107 e 1110

[9] Cefalonia, 8-25 settembre 1943. https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/18262; https://www.quirinale.it/ono-rificenze/insigniti/18264; https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/18290

[10] Cefalonia, 8-25 settembre 1943. https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/18292

[11] Cefalonia – Corfù, 9-25 settembre 1943. https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/18380

[12] Cefalonia, 9-22 settembre 1943. https://www.quirinale.it/onorificenze/insigniti/45392. Cfr. Gruppo Medaglie d’Oro al Valore Militare, Le Medaglie d’Oro al Valore Militare, volume secondo (1942-1959), Tipografia Regionale, 1965, Roma, p. 323.

[13] Altri 2800 militari italiani persero la vita per annegamento a seguito della perdita delle navi su cui erano imbarcati, per urto contro mine, mentre venivano ai campi di prigionia in Germania e Polonia. Vincenzo Palmieri, cit. pp. 17-18