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La riforma del Reddito di cittadinanza che il governo Meloni ha predisposto fa discutere; alcuni, con la puzza sotto il naso e la ERRE moscia, ritengono che l’eccesso dei sussidi pubblici finisca per alimentare i comportamenti opportunistici, scoraggi la ricerca e l’accettare le offerte di lavoro; altri li ritengono un doveroso supporto per far fronte ai bisogni essenziali delle persone senza essere costrette a lavorare in condizioni di precarietà e di sfruttamento.

Sui media trovano spazio le lamentele di imprenditori che faticano a trovare manodopera disponibile e di beneficiari del Rdc che ricevono proposte di lavoro con retribuzioni da fame.

I diversi pensieri possono convivere in un mercato del lavoro diventato così complesso da indurre i legislatori a limitare le conseguenze della perdita involontaria del lavoro; da una parte ad introdurre norme che impongono ai beneficiari di essere attivi nella ricerca del lavoro, dall’altra a sanzionare i rifiuti non giustificati di proposte lavorative.

Le polemiche ha scatenato uno scontro ideologico tra i critici dei sussidi che disincentivano la ricerca di un lavoro regolare, favoriscono la carenza di offerta di lavoro rispetto ai fabbisogni delle imprese, e quanti ritengono che la disoccupazione italiana e il sottoutilizzo delle risorse umane in età di lavoro siano un derivato della scarsità di posti di lavoro disponibili e della bassa qualità delle proposte avanzate dalle aziende.

La spesa assistenziale a carico dello Stato è raddoppiata, la qualità del mercato del lavoro e il tasso di utilizzo delle persone in età di lavoro sono peggiorate, intanto, cresce il numero delle persone in condizioni di povertà assoluta.

Nel corso del 2021 le scelte in materia di politiche del lavoro sono state orientate a rafforzare la rete delle politiche passive e dei sussidi per contenere l’ondata di licenziamenti e arginare la povertà.

Il giro di vite operato dalla Legge di bilancio 2023 sui beneficiari del Rdc in età di lavoro, privi di carichi familiari (7 mesi di durata del sussidio con la decadenza nel caso di rifiuto di una proposta di lavoro) offre una diversa lettura del problema e mette in evidenza la quantità insufficiente delle eventuali proposte di lavoro che vengono indirizzate        alle persone prive di istruzione e qualificazione che risulta essere la stragrande maggioranza dei disoccupate che percepiscono il Rdc.

Eurostat mette in evidenza la carenza di manodopera, circa 2milioni, nei settori della sanità, dell’assistenza, delle costruzioni, nel commercio e turismo rispetto alla media dei Paesi aderenti all’Ue.

Risulta praticamente impossibile avviare una politica attiva del lavoro, corsi di formazione, in grado di offrire nel corso di 7 mesi proposte di lavoro in grado di rappresentare un’alternativa lavorativa concreta ai beneficiari del Rdc.

La quota occorrente nelle mansioni che a bassa qualificazione risulta superiore di 15 punti rispetto alla media dei Paesi Ue, con appelli a nuove quote d’ ingresso di stranieri finalizzata a compensare la carenza di disponibilità di Italiani, tant’è che l’esigenza del (18,1%) coincide con  il 18,5% di nuove attivazioni di lavoratori stranieri nel corso d’anno rilevata dal sistema delle Comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro.

La mancanza di un’adeguata offerta di lavoro nel 2022 è aumentata di circa 11 punti e riguarda, tutto il territorio nazionale dove più dove meno.

L’alternativa ai sostegni pubblici al reddito, non solo del Rdc, deve essere un’offerta di lavoro contrattualmente regolare e non come spesso si legge con stage lavorativi o prestazioni a termine e stagionali e con bassa qualificazione.

Per incentivare l’accettazione delle nuove offerte di lavoro ha proposto di rendere compatibili i sostegni pubblici con le nuove retribuzioni anche con il supporto di specifiche agevolazioni fiscali.

Per gli interessati è più conveniente dichiarare bassi redditi per conservare il Rdc ed eventualmente integrare gli assegni pubblici con prestazioni sommerse.

Carenza settoriale e territoriale di lavoratori disponibili, incidenza delle quote di lavoro sommerso; sostegni al reddito erogati e popolazione in età di lavoro, inadeguatezza dei controlli, suggeriscono l’esigenza di tarare le politiche attive e l’attenzione del governo centrale e periferico ad una più corretta valutazione dei comportamenti delle persone che, nella maggior parte dei casi, non sono propense a stare sul divano ma vorrebbero un lavoro che non abbia “la puzza di schiavitù”.

Alfredo Magnifico