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Il sondaggio di Pagnoncelli riporta che inflazione e guerra spaventano 8 italiani su 10 e il clima sociale è peggiorato.

Il 2021 aveva portato crescita del Pil ed entusiasmo per i successi sportivi: adesso il carovita e la crisi energetica fanno intravvedere incertezze per il futuro.

Tra le priorità dei cittadini l’economia, il lavoro, il welfare e l’assistenza. Cambiano le posizioni sul conflitto: la maggioranza relativa (il 47%) non appoggia né Ucraina né Russia

Il 2022 ha fatto registrare un netto peggioramento del clima sociale, soprattutto se confrontato con il 2021, ossia con l’anno della ripresa della normalità dopo la massiccia campagna vaccinale, l’anno del significativo aumento del Prodotto interno lordo, l’anno del governo di (quasi) unità nazionale guidato da una personalità autorevole come Mario Draghi che ha conferito al Paese prestigio e considerazione a livello internazionale, l’anno delle numerose vittorie in ambito sportivo (dagli europei di calcio alle medaglie olimpiche), l’anno in cui gli ottimisti riguardo al futuro personale e dell’Italia prevalgono sui pessimisti.

L’euforia è svanita a seguito di due eventi che si sono accaduti all’ inizio dell’anno che hanno condizionato verso il pessimismo il sentimento degli italiani: il ritorno dell’inflazione e il conflitto in Ucraina che dopo la pandemia hanno minato il senso di sicurezza mettendo a repentaglio la tenuta del potere d’acquisto e l’indipendenza energetica.

Le priorità elencate dalle persone intervistate nel sondaggio sono incentrate soprattutto su temi economici e occupazionali (84%, in aumento del 9% rispetto al dicembre del 2021) e su welfare e assistenza (55%), più che raddoppiati a distanza di un anno (24%); a seguire, il funzionamento delle istituzioni e la situazione politica (24%, in progressiva diminuzione l’ambiente (22%) la sanità (21%), l’immigrazione (18%) e la sicurezza (13%).

Le priorità nella propria zona: mobilità e infrastrutture (34%), ambiente (33%) e welfare (33%, il funzionamento delle istituzioni e la situazione politica locale (20%), la sicurezza (19%), la sanità (12%) e l’immigrazione (9%).

L’inflazione rappresenta motivo di preoccupazione per quattro cittadini su cinque (79%) mentre solo il 7% si dichiara poco o per nulla preoccupato ,per il 28% l’aumento dei prezzi durerà al massimo per un anno, il 31% è convinto che durerà da uno a due anni e un altro 21%, più pessimista, prevede che durerà ben più di due anni. Questi pronostici avranno un impatto sui comportamenti di acquisto e di consumo delle persone.

La guerra in Ucraina rappresenta motivo di inquietudine per tre italiani su quattro (28% molto preoccupato e 47% abbastanza preoccupato) e fin dall’inizio delle ostilità il timore riguarda più le conseguenze economiche (53%) rispetto al rischio di estensione del conflitto che veda coinvolta l’Italia (19%) o all’aumento dell’arrivo dei profughi (15%). Il protrarsi della guerra ha fatto registrare un progressivo cambiamento delle opinioni degli italiani, la maggior parte dei quali (55%) inizialmente si dichiarava a favore delle sanzioni contro la Russia nonostante l’aumento dei prezzi di alcuni prodotti alimentari e del costo dell’energia, a fronte del 31% di contrari. Oggi si è ridotto il consenso per le sanzioni (46%) ed è aumentata la contrarietà (37%), rispetto ai Paesi in guerra la posizione è cambiata: a marzo il 57% dichiarava di stare dalla parte dell’Ucraina, il 38% non prendeva posizione e il 5% parteggiava per i russi, oggi la maggioranza relativa (47%, in aumento del 9%) dichiara di non appoggiare nessuno dei due Paesi, il 45% (in diminuzione di 12%) è più vicino all’Ucraina e l’8% alla Russia. Prevale una sorta di pacifismo utilitaristico che prescinde dal merito della vicenda e chiede che le parti in causa cessino le ostilità per evitare guai economici maggiori al nostro Paese già duramente provato dalla pandemia e dell’inflazione.

Sul futuro nel breve prevalgono i pessimisti, il 38% prevede una situazione economica del Paese per i prossimi sei mesi peggiore contro il 26% che pronostica un miglioramento e il 25% che ritiene rimarrà invariata.

Le cose vanno meglio sui 3 anni: gli ottimisti (43%) prevalgono sui pessimisti (23%), sulle prospettive economiche personali prevale la quota di coloro che nei prossimi sei mesi si aspettano un peggioramento (34%) rispetto agli ottimisti (24%).

Nonostante non sia ancora stato debellato, il coronavirus appare oggi meno aggressivo agli occhi dei cittadini: uno su due (47%) ritiene che con le giuste precauzioni e con l’ausilio dei vaccini il Covid non rappresenta più una minaccia e il 14% è del parere che la pandemia sia sostanzialmente finita, il 61% è convinto che il peggio sia alle nostre spalle mentre il 6% è più allarmista e ritiene che il peggio debba ancora arrivare.

Le notizie provenienti in questi giorni dalla Cina sono poco rassicuranti e potrebbero avere un impatto sulla percezione della situazione e sui comportamenti conseguenti.

Dopo quasi tre anni di pandemia, con il ritorno dell’inflazione e le criticità legate alla crisi energetica si è acuito il sentimento di fatica, è aumentata la domanda di protezione e si sono ridotte le speranze di un miglioramento complessivo della situazione.

L’accresciuta capacità di risparmio del 2020 e 2021 con il lockdown e le restrizioni adottate per contenere l’emergenza sanitaria ha consentito a molti di far fronte all’aumento dei costi e non rinunciare ad alcune voci di spesa (viaggi e vacanze), inquieta però l’incertezza del futuro.

Il rapporto Censis di quest’anno fa riferimento ad una diffusa malinconia che pervade gli italiani.

La malinconia non è rabbia, rancore o recriminazione, piuttosto è un senso di tristezza e di rassegnazione, è il disincanto rispetto alla possibilità di avere un Paese più dinamico, nel quale si riducono le diseguaglianze e si rimetta in moto l’ascensore sociale.

Una delle parole più ricorrenti è «transizione», nelle diverse accezioni (digitale, energetica, ambientale, lavorativa, ecc.): è una parola che genera aspettative positive ma anche un sentimento di paura-apprensione. non si riescono ad intravedere gli approdi, lascia il Paese «sospeso» tra un presente che ci preoccupa e un futuro che ci spaventa.

Non è facile individuare antidoti al disagio collettivo che sfocia in pessimismo, sfiducia, convinzione di essere lasciati soli, abbandonati a sé stessi.

Vale la pena riflettere sul ruolo «terapeutico» che potrebbe avere il Piano nazionale di ripresa e resilienza (saggiamente denominato dalle istituzioni europee Next Generation EU), a condizione di saper raccontare con convinzione che Italia avremo se sapremo realizzarlo.

Alfredo Magnifico