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L’allora presidente del consiglio Romano Prodi annuncia la svolta epocale: l’entrata dell’Italia nell’euro, affermazioni trionfalistiche preludio di nuove opportunità e benessere.
Tutte le aziende trasformano i loro costi espressi il lire in euro. Un minuto dopo tutta l’Italia era più povera.

Il potere di acquisto non era equiparato al precedente, i miei dirigenti felici che dopo anni guadagnavano 5 mln al mese con la trasformazione percepivano 2500 euro. Ma nel mentre ad esempio l’editoria raddoppiava i prezzi: io allora ero abbonato ad una nota rivista economica che costava 5 mila lire. Un minuto dopo fu portata a 5 euro, il doppio e così in tanti altri settori.

Anche una gentilissima signora nomade che incontravo tutte le mattine al semaforo e a cui davo sempre per simpatia 500 lire mi fece sentire una persona ingenerosa dandole 1 euro. E si scatenò il disequilibrio il dissesto. Perché tutti non trovando più equiparazione tra il percepito e lo speso divennero meno ricchi o più poveri.

Le fasce medio basse furono uccise, i ricchi rimasero solo meno ricchi e la società incomincio a cambiare, i negozi incominciarono a chiudere, lasciando spazio all’apertura dei grandi centri commerciali dove le nuove catene di abbigliamento si erano organizzate per il futuro, Calzedonia, Intimissimi, H&M in primis, poi altre.

Onore al merito di questa veloce visione imprenditoriale volta all’adeguamento dell’accaduto. Ma da allora sono nate due fasce sociali: i sempre più ricchi e i sempre più poveri. I più intelligenti hanno fatto ricorso alla filosofia e ai principi dell’economia: abbassando i bisogni in funzione di questa ridotta possibilità economica. Auspico fortemente che questo governo sappia portare un ripristino concreto di soluzione che ad oggi ancora non si vede ad una scelta economica che a mio parere non si è rivelata adeguata al benessere degli italiani e soprattutto delle fasce più basse. Cancellando in un colpo lo status raggiunto da quelle intermedie.

 

Giuseppe Deiana