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Giovedì, intervenendo ad un meeting di giovani industriali russi a Mosca, Putin ha tenuto un discorso a braccio in cui, fra le altre cose, si è paragonato a Pietro il Grande.

 

Senza entrare nel merito delle aspirazioni megalomani del personaggio, le cui tendenze narcisistiche sono ampiamente assodate dagli analisti, e senza scendere in competizione con lui nella sua personale rivisitazione della storia – secondo cui fra l’altro l’Ucraina non vi avrebbe un posto autonomo ma solo in quanto regione russa – vorrei focalizzare l’attenzione su un particolare passaggio del discorso, dove ha esposto le ragioni di fondo dell’azione imperiale dello zar Pietro e quindi anche della sua. Chi avesse dubbi sulla traduzione che propongo può andare a verificare sull’intervento originale riportato da un po’ tutte le agenzie di stampa.

 

“Per rivendicare una sorta di leadership – ha detto l’orso Vladimiro – qualsiasi paese, qualsiasi popolo, qualsiasi gruppo etnico deve prima garantire la propria sovranità. Perché non c’è nessuno stato intermedio: o un paese è sovrano, o è una colonia, indipendentemente da come si chiamano le colonie”.

In altre parole, ci sono due categorie di stato: quello sovrano e quello che non lo è. Nella visione imperiale di Putin, l’Ucraina dovrebbe rientrare in quest’ultima categoria.

 

In passato ho offerto la mia opinione su come Putin veda la scena mondiale: come un giocatore di scacchi che gioca la sua partita contro l’unico avversario al suo livello (l’America), e dove tutte le altre Nazioni sono semplici caselle della scacchiera, da “occupare” nella sfida per la vittoria finale: oggetti – non soggetti – della contesa internazionale.

Per questa ragione lui rivendica il diritto di contestare lo status e le ambizioni altrui, ma considera inaccettabile che gli altri contestino le sue. Perché, come nella “Fattoria degli Animali” di Orwell, ci sono animali che sono “più uguali” degli altri: e l’orso secondo lui sarebbe più uguale di qualsiasi animale possa abitare in Ucraina; o in Italia se per questo.

 

Il “recupero e il consolidamento” dei territori rivendicati da uno stato sovrano secondo l’orso è un diritto e anche una necessità inderogabile per tutelare la propria sovranità, e nulla ha a che vedere con i diritti e le necessità di coloro che vi abitano, in quanto costoro non appartenendo loro stessi ad uno stato sovrano non godono degli stessi diritti e non possono reclamare le stesse necessità di chi vi appartiene.

 

Se da un punto di vista etico una simile visione del mondo appare del tutto inaccettabile a chiunque nutra un minimo di visione democratica e liberale delle relazioni internazionali, potrebbe in un certo modo apparire giustificata dal punto di vista cinico di chi si attiene ai precetti della “realpolitik” kissingeriana: in fondo l’Occidente per cinquant’anni non ha interferito con i “Paesi Satelliti” dell’URSS proprio in base ad un concetto come questo.

Il problema però è che la Russia di Putin non è che l’ombra di quella che era l’URSS: il narcisismo di colui che si paragona a Pietro il Grande è tale da farlo considerare sullo stesso piano dell’America, e perfino da fargli trattare la Cina come uno “junior partner”, cosa che oltre a esasperare Biden, irrita profondamente Xi. Avendo però la Russia un PIL pari alla Spagna e di gran lunga inferiore non solo all’Italia ma anche alla Corea del Sud, la visione di Putin di un mondo sostanzialmente bipolare e conteso fra Washington e Mosca non è solo antitetica: è anche patetica.

Seppure il mondo, mosso a pietà dalle lamentele dell’orso che si sente poco considerato, e spinto da un desiderio di pace ad ogni costo, decidesse di lasciargli tutte le “caselle” di scacchiera da lui rivendicate ignorando i diritti di chi ci abita, il povero Vladimiro non avrebbe di che gestirle o di che governarle: la quasi totalità degli oblast della federazione russa sono mantenuti in condizioni di mera sussistenza con i continui trasferimenti di risorse generate nei quattro unici oblast produttivi (Mosca, Leningrado, gli Urali e la zona di Jamal).

L’unico assetto che sorregge veramente le ambizioni imperiali di Putin è l’arsenale nucleare strategico ereditato dall’URSS. Come un bullo che ha una pistola.

 

Si tratta di una situazione che dovrebbe apparire intollerabile a tutti: non solo per le implicazioni che ha sui vicini dell’orso, ma anche su di noi italiani. Perché dal punto di vista di Putin, l’Italia è un’altra “colonia”: una casella di scacchiera eventualmente da strappare all’avversario, ma in ogni caso da trattare come tale.

La cosa triste è che i minions di Putin, quegli entusiasti del “cattivo” benevolo che si oppone all’infido Occidente globalista che opprimerebbe la nostra gente, da un lato bevono avidamente la sua narrazione secondo cui non saremmo niente più che una “colonia” (a seconda dei momenti americana, tedesca, francese, della EU o della SPECTRE), dall’altra non vedono come – qualora l’orso Vladimiro avesse ragione – l’unica alternativa sarebbe passare dallo status di colonia americana  a quello di colonia russa.

 

Ora, proviamo a dimenticarci dell’etica: quella cosa fastidiosa e poco pratica che ci obbliga a considerare astrazioni inutili come la libertà, la giustizia, il progresso e la solidarietà; cerchiamo di pensare solo al nostro benessere. Conviene di più essere “colonie” della massima potenza economica globale, ed avere di conseguenza uno status simile a quello delle altre colonie quali Giappone, Australia, Canada e Olanda, oppure essere “colonie” dell’impero russo, quali Bielorussia, Transnistria, Abkhazia, Ossezia e Donbass?

Ovviamente la seconda non è una alternativa attraente; per fortuna non è neppure credibile, per il semplice fatto che l’economia della tanto disprezzata Italietta è superiore da sola a quella dell’orso…

 

Ma l’etica esiste, e ha un valore. I principi su cui si basa la nostra società hanno un valore, non foss’altro per i sacrifici di chi ci ha preceduti e ce li ha tramandati. I presunti “burattinai” da cui dipenderemmo se fossimo davvero una colonia non sono entità aliene: l’America è una grande Nazione che abbiamo contribuito in maniera fondamentale a creare con l’esplorazione, l’immigrazione, il lavoro e la cultura italiane; la EU è un’entità che abbiamo fondato insieme ad altre sole cinque Nazioni. L’Occidente in cui siamo immersi è un mondo in cui le singole Nazioni contano sempre di meno, ma in cui – come terzo membro più importante della EU – contiamo decisamente qualcosa.

La Russia invece è una Nazione straniera. Un vicino con cui abbiamo molti legami, ma sicuramente non di più di quanti non ne abbiamo con le altre Nazione della EU; un vicino che però non ci tratta alla pari, ma che ci considera una “colonia” altrui. Un vicino i cui dirigenti ammettono tranquillamente di odiarci e di sperare di vederci “sparire”. Un vicino che ci punta contro missili nucleari dicendo che gli sono indispensabili per difendersi da noi: come se noi avessimo missili puntati su di loro, o qualche piano per attaccarli.

 

I minions sono una parabola triste. Quelle creaturine ingenue e entusiaste che si innamorano perdutamente del “cattivo” e si sottomettono supinamente a lui, alla sua volontà e alla sua narrativa, quale che essa sia, e che in sostanza vivono da schiavi volenterosi.

Nel cartone animato il loro fato è generoso, perché il loro “cattivo” non è realmente tale. Nella nostra realtà purtroppo l’orso Vladimiro non è intento a salvare bambine indifese, ma a bombardarle con missili termobarici. Cercare di trovare del “buono” in lui è impresa davvero ardua, anche per il più volenteroso dei minions.

 

Orio Giorgio Stirpe