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Quando diciamo che l’esercito russo ha perso l’iniziativa e subisce il Momentum positivo di quello ucraino, non diciamo certo che sia finito; né tantomeno che sia finita la guerra.
Il cambio di passo rispetto a quando la guerra è cominciata è grandissimo, e indubbiamente la situazione appare ora avvantaggiare decisamente l’Ucraina, ma questo era anche vero relativamente agli alleati alla fine del 1942: le operazioni per liberare i territori occupati e concludere la guerra però durarono altri due anni e mezzo, e nel frattempo la Germania nazista riuscì ad organizzare operazioni offensive notevoli come a Kursk o nelle Ardenne.
L’esercito russo in Ucraina non sta vincendo, anzi è in gravi difficoltà; però c’è ancora.
Bene: qual è il suo stato?

Cominciamo da quale fosse all’inizio del conflitto, e ragioniamo a spanne altrimenti occorrerebbe scrivere un libro solo per questo.
Esiste una sorta di leggenda metropolitana secondo cui l’esercito russo sarebbe sterminato: piace a molti affermare che avrebbe oltre un milione di uomini, e decine di migliaia di carri armati… Semplicemente, non è così: quest’idea deriva innanzitutto dal fatto che si confonde l’esercito russo con quello sovietico da cui discende (che era basato su popolazione, base industriale e risorse più che doppie), e poi dal fatto che si leggono male i dati. “Un milione di uomini” sono approssimativamente i dipendenti della Difesa, compresi i civili e le milizie locali, la marina, l’aviazione, le forze missilistiche, l’amministrazione territoriale e la logistica. Le truppe combattenti dell’esercito sono poco più di un terzo, su tutto il territorio… E la Russia ha le frontiere più lunghe del mondo, in larga parte non poi così sicure e quindi da presidiare. Alla fine, compresa la Guardia Nazionale, può permettersi di impiegare in combattimento al massimo poco più di trecentomila uomini.

Oltre che del potenziale umano, un esercito è funzione dell’economia del suo Paese, e quindi essenzialmente del suo PIL. Per quanto il bilancio della Difesa russo sia superiore a quello italiano, è comunque funzione di un PIL pari a due terzi del nostro, e quindi in termini assoluti corrisponde di massima a quello britannico. Non così superiore quindi al nostro… Diciamo il doppio.
Il problema è che le forze armate russe non sono il doppio di quelle italiane in termini numerici, ma circa dieci volte tanto. Quindi i conti non tornano già dall’inizio.
Consideriamo poi che quasi metà budget se ne va per il mantenimento della costosissima triade strategica (missili intercontinentali, sottomarini nucleari e bombardieri strategici). C’è anche un’infrastruttura immensa da mantenere su tutto il territorio, che è notoriamente sterminato: caserme, poligoni addestrativi, strade militari, basi navali, aeroporti, reti radar e comunicazioni…
Questo personale dieci volte il nostro va addestrato, e anche remunerato oltre che mantenuto. A Putin piacciono le esercitazioni giganti, ogni anno, che coinvolgano almeno 50 mila uomini (le famose “Zapad” e “Vostok”, a seconda che si svolgano all’Ovest o all’Est), quando noi ce ne possiamo permettere al massimo una da mille uomini da inviare all’estero ogni anno.
Con quello che rimane del budget, la Russia mantiene i suoi mezzi: carri armati, navi, aerei, elicotteri, artiglierie, depositi vari… Capirete che non c’è molto con cui manutenzionare un gran parco di armi e veicoli vari, per non parlare di acquisirne di nuovi.
Infine, naturalmente, c’è la corruzione endemica, che si mangia una buona fetta…
Tutto questo per dire che non è una sorpresa per nessun esperto scoprire che i mezzi russi sono in cattive condizioni, e che quelli nei depositi si scoprono essere del tutto inutilizzabili dopo oltre trenta anni di mancate manutenzioni (e di parcheggi all’aperto).

Della dottrina abbiamo detto ieri: è rimasta quella dell’era sovietica, quando l’esercito era numericamente più forte e quasi esclusivamente di leva, e alla fine consente solo una pianificazione pesante e una manovra permanentemente offensiva basata solo sulla potenza di fuoco. Una dottrina estremamente rigida e basata sulla presunzione di superiorità numerica.

Rispetto a questa situazione di partenza, l’esercito ha subito perdite pesantissime: così gravi da ribaltare la sua superiorità numerica, annullare il suo potenziale offensivo e consegnare l’iniziativa agli ucraini.
Non abbiamo ovviamente numeri precisi, ma incrociando i dati statistici, i calcoli della NATO e le informazioni di intelligence, si ottengono numeri inferiori – ma non di molto – a quanto dichiarato dagli ucraini (che ovviamente gonfiano un po’). Poi è uscito il dato del ministero delle finanze russo sui fondi necessari per pagare le famiglie dei caduti, estrapolando il quale si è trovato un dato intermedio fra i numeri ucraini e quelli della NATO. In realtà la cifra esatta non è importante: lo è l’ordine di grandezza.
Si parla di circa 50 mila caduti.
Statisticamente, per ogni caduto ci sono almeno due feriti non recuperabili al combattimento, disertori, dispersi e/o congedati. Fa quindi circa 150 mila.
L’insieme delle forze complessivamente impiegate contro l’Ucraina è di circa 300 mila.
Parliamo di perdite pari al 50% della forza: un uomo ogni due è andato perduto.
Nessuna sorpresa che le Unità russe siano “vuote”…

Con i mezzi non è andata meglio. Prendiamo i carri armati: si parla di oltre mille carri distrutti. Di nuovo, statisticamente, per ogni carro perduto ce n’è un altro che è danneggiato e non può essere riparato, oppure è stato abbandonato o ancora cannibalizzato per recuperare parti di ricambio. Fa duemila, che è nuovamente circa la metà della forza impiegata. I conti tornano… Ovviamente non per i russi.

Esiste la possibilità che i numeri siano differenti, e magari anche inferiori, ma non di molto: di nuovo, è l’ordine di grandezza che conta.
Conta, perché le perdite non sono ripianabili se non in minima parte: la mobilitazione non si fa, i volontari arrivano con il contagocce, e in ogni caso i nuovi soldati vanno prima addestrati e ci vogliono mesi. L’industria non produce più mezzi pesanti ma solo armi leggere per via delle sanzioni (senza cuscinetti a sfere e microchips non si costruisce niente di sofisticato), e quindi ci sono solo gli avanzi obsoleti dei magazzini sovietici, e abbiamo visto in che stato sono…
Ma soprattutto c’è il morale. Perdite intorno al 50% (fosse anche il 40% sarebbe lo stesso) significano che ogni soldato ha visto cadere metà dei suoi commilitoni, e sa di avere lui stesso solo il 50% di probabilità di tornare a casa intero.
Tutto questo in una situazione in cui, essendo al fronte, vede chiaramente che non ci sono prospettive di vittoria. I superiori lo hanno deluso, il cibo manca, l’inverno si avvicina. Un inverno da trascorrere in trincea, in territorio nemico, insidiati dai partigiani, e con davanti un nemico agguerrito che si dimostra poco alla volta tecnologicamente superiore.
Quale può essere la motivazione al combattimento di questi soldati?

Pochissimi comandanti d’Armata all’atto dell’invasione sono ancora al loro posto: gli altri sono stati uccisi, oppure rimossi per incompetenza. Ora si parla addirittura (e per l’ennesima volta) di una possibile rimozione di Shoygu quale Ministro della Difesa (ma naturalmente l’Operazione Militare Speciale “prosegue secondo i piani”): lo sostituirebbe Prigozhin, il “papà” del gruppo Wagner. Magari farà anche meglio di Shoygu – difficile fare peggio – ma il morale dell’esercito non ne gioverà di sicuro.

Questa è la situazione dell’esercito dell’orso Vladimiro. Riuscirà a ribaltare il corso della guerra e a riprendere l’iniziativa?

Orio Giorgio Stirpe