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Secondo Lavrov, la Russia “E’ sempre pronta ad ascoltare le proposte occidentali per una trattativa”.

Secondo Kuleba, “E’ una procedura ormai abituale per i russi commettere crimini un giorno e proporre trattative il giorno dopo”.

Hanno ragione entrambi: infatti i due ministri degli Esteri avversari sono due volponi.

 

Lavrov ha ragione due volte: prima perché avviare trattative con l’Occidente (non con l’Ucraina!) è funzionale al progetto di guerra ibrida volto a incrinare la volontà occidentale di sostenere militarmente il Governo di Kyiv; e poi perché il Grande Gioco di Putin consiste proprio nell’arrivare ad un dialogo a due fra Mosca e Washington per dirimere la crisi e spianare la strada ad un patto per la divisione del mondo (o almeno dell’Europa) in sfere di influenza fra quelle che secondo lui sono le uniche due “Potenze Sovrane”, laddove tutte le altre sarebbero solo colonie delle prime due.

Lavrov però è anche in malafede: la guerra russa è contro l’Ucraina, quale che sia l’appoggio occidentale a Kyiv, ed è con essa che deve trattare. Anche per la guerra del Vietnam, gli americani a Parigi parlarono con Hanoi, non con Mosca o con Pechino.

Ma siccome L’Ucraina per il Regime russo ha lo status di “colonia”, per Putin risulta impossibile discutere con essa altro che non siano le condizioni di resa.

 

Ha ragione anche Kuleba: è un fatto che nell’ottica russa i bombardamenti delle infrastrutture civili ucraine – volti soprattutto ad impressionare l’opinione pubblica europea più che quella ucraina ormai indurita dalle sofferenze – rappresentano altrettante “escalation” in risposta agli attacchi di precisione ucraini contro obiettivi strategici quali il Ponte di Kerch o la Base di Sebastopoli.

Si tratta di “escalation” meschine e non particolarmente impressionanti, ma in base alla strategia ibrida russa occorre approfittarne e cercare di imporle all’attenzione del pubblico occidentale come crudeli e tali da dover essere arrestate da uno sforzo comune… Neanche fossero ordinate dagli Dei del Fuoco e non dallo stesso Governo di Mosca.

 

Il fatto è che per buona parte dell’opinione pubblica occidentale, e sicuramente di quella italiana, Putin ormai è un “cattivo” talmente conclamato che discutere delle sue colpe o criticare le sue malefatte è aleatorio. Quindi gli unici che possono essere criticati per il mancato raggiungimento di un qualsiasi risultato diplomatico sono tutti gli altri: Zelensky, la EU, la NATO, l’America e perfino il Governo Italiano.

Al contrario, se da parte di Putin arriva un sia pur minimo segnale positivo, lo si esalta proprio in quanto provenendo dal “cattivo” rappresenterebbe una concessione preziosa.

Si tratta di un atteggiamento infantile dettato dalla paura primordiale indotta dalla minaccia nucleare e quindi della morte; sostanzialmente vigliaccheria. Lo stesso meccanismo psicologico naturale che ci fa dire “non importa cosa succede agli altri, purché io mi salvi”.

Nel caso specifico poi si tratta di una forma di vigliaccheria particolarmente ipocrita, perché viene argomentata e razionalizzata attraverso la narrativa delle sofferenze della popolazione ucraina, la quale non si lamenta affatto.

 

Insomma: nell’ottica di chi vorrebbe accolta con giubilo la disponibilità russa a trattare CON L’OCCIDENTE, si tratterebbe di dialogare allo scopo di salvare la popolazione ucraina da sé stessa e dai suoi caparbi governanti che invece insistono a combattere per liberare la propria terra. Bisognerebbe quindi costringere gli ucraini ad accettare “per il loro stesso bene” delle condizioni da loro considerate inaccettabili; un “bene” che noi conosceremmo meglio di loro.

A parte il bieco razzismo insito in un tale ragionamento (voi non capite il vostro interesse, ma per fortuna ci siamo noi che ve lo spieghiamo – anzi ve lo imponiamo), c’è anche l’aspetto gretto ed egoista secondo cui noi avremmo “il diritto” di trattare per loro in quanto l’Ucraina in sostanza combatte finanziata da noi.

Nessuna meraviglia se a Kyiv rispondano in maniera piuttosto piccata a questo genere di suggerimenti.

 

La proposta russa di trattare con l’Occidente è irricevibile secondo il Diritto Internazionale, lo è per motivi etici, e soprattutto lo è per ragioni pratiche: non abbiamo alcuna delega per discutere a nome di Kyiv.

Qualunque trattativa fra due belligeranti deve svolgersi fra di essi.

Rimane quindi la domanda: dovremmo spingere Kyiv ad accettare l’offerta russa di discutere, anche se l’offerta NON è rivolta affatto all’Ucraina?

 

Per rispondere occorre andare oltre i titoli roboanti dei giornali, e cercare di decifrare la sostanza di quanto il Regime russo è disposto a mettere sul tavolo. Non è così semplice, perché non è stata fatta alcuna proposta ufficiale, al contrario della posizione ucraina che è chiarissima: ripristino dei confini internazionalmente riconosciuti.

La posizione del Regime però è desumibile da una serie di segnali e di disposizioni politiche e soprattutto militari in atto, e qui per evitare di farla troppo lunga devo invitare chi legge a credermi sulla parola, almeno per il momento.

Di fatto, Putin non deflette dalla condizione imprescindibile di mantenere il pieno possesso della Crimea e del Donbass… Almeno di quella parte del Donbass che era già sotto controllo russo al 24 febbraio. Inoltre richiede il controllo di un corridoio terrestre che congiunga il Donbass stesso con la Crimea, e quindi le località di Mariupol, Berdyansk e Melitopol con i relativi distretti. In cambio è disposto a rinunciare a Kherson e agli altri territori attualmente occupati nel sud, così come al nord del Luhansk che gli ucraini stanno lentamente riconquistando.

 

Come da prassi del Regime, non sarebbe nemmeno necessario che tale situazione sia sanzionata da un trattato che fissi giuridicamente i nuovi confini: potrebbe in sostanza trattarsi di una semplice linea armistiziale, che porterebbe ad un “conflitto bloccato” come già è in Transnistria, in Abkhazia e in Ossezia meridionale.

Dal punto di vista russo, un accordo assolutamente ragionevole.

Accettabilissimo e anche ragionevolissimo anche per quei settori di opinione pubblica occidentale che vogliono solo che la guerra finisca in fretta, non importa come.

 

Il problema è che non è affatto accettabile per gli ucraini. Non intendo tanto il Governo, che magari potrebbe anche essere indotto ad accettare… Intendo la maggioranza della popolazione: secondo il sondaggio indipendente Gallup, intorno all’80% della popolazione crede nella vittoria e pretende il ripristino dei confini internazionalmente riconosciuti. Se il Governo cercasse di fare altrimenti, non durerebbe una settimana e l’estrema destra prenderebbe il potere imponendo la continuazione della guerra.

Continuazione che è comprensibile se si pensa che nessuna variazione dei confini internazionali è stata autorizzata dal 1945, e tale regola è universalmente riconosciuta (anche dalla Cina) come fondamentale e irrinunciabile: perché dovrebbe cessare di valere solo per l’Ucraina?

Ma soprattutto, tutti gli indicatori militari portano a credere che l’estate prossima l’esercito ucraino sarà in grado di riconquistare i territori occupati: quindi perché rinunciare oggi a qualcosa che può essere riottenuto domani?

I minions e coloro che pensano solo alla “pace ad ogni costo” risponderanno: per evitare altre sofferenze agli ucraini!

Già: ma questo spetta solo agli ucraini deciderlo.

E l’orso Vladimiro non può farci niente…

 

Orio Giorgio Stirpe