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Negli ultimi giorni gli sviluppi diplomatici hanno ampiamente travalicato quelli militari, laddove questi ultimi patiscono le limitazioni stagionali mentre quelli diplomatici sono accelerati dal calendario.

 

Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare di “pressioni” americane sull’Ucraina per alleggerire le sue posizioni dopo la liberazione di Kherson e rilanciare l’ipotesi di trattative. Personalmente vedo in questo discorso più un riflesso delle speranze personali di chi ne scrive che non un effettivo progresso diplomatico, anche perché in ultima analisi tutto nasceva da una singola frase del Generale Milley, Capo di Stato Maggiore americano, fra l’altro ampiamente decontestualizzata. Di fatto il generale Milley, a cui non competono pressioni diplomatiche che sono pertinenza del Dipartimento di Stato e semmai del suo diretto superiore il Segretario della Difesa, è comprensibilmente preoccupato per la riduzione degli stock di armamenti e munizioni americani che vengono ceduti all’Ucraina, e non si fida troppo di un loro pronto reintegro. Il suo era quindi un auspicio generico a cogliere ogni opportunità per una conclusione pacifica del conflitto.

La sete di “buone notizie” sul fronte diplomatico ha convertito tale auspicio in una vera e propria “fronda” interna all’Amministrazione americana decisa a imporre una maggiore apertura al Governo ucraino rispetto a quanto visto finora.

Naturalmente si tratta di un atteggiamento irrazionale e poco professionale da parte di quei giornalisti che l’hanno diffusa, fra l’altro creando imbarazzo al Presidente Biden e una certa frizione fra Kyiv e Washington proprio alla vigila del G-20.

Chiariamolo subito: gli Stati Uniti e l’Unione Europea non hanno alcun interesse ad indebolire la posizione ucraina ai negoziati, e ormai tantomeno a soccorrere un Regime russo sempre più in difficoltà. Il punto fondamentale è che il mantenimento dell’attuale ordinamento legale internazionale è fondamentale per la prosperità dell’Occidente, ed un suo indebolimento di fronte all’aggressione russa all’Ucraina (indebolimento che sarebbe inevitabile se tale aggressione dovesse essere in alcun modo “premiata”) danneggerebbe le prospettive diplomatiche di lungo termine.

Si può discutere finché si vuole se l’attuale ordine internazionale “globale” sia o meno equo, ma è un ordine che ha prevenuto finora conflitti maggiori fra Grandi Potenze ed assicurato uno sviluppo economico generalizzato ancorché probabilmente ineguale. Come già per la Democrazia, di esso si può dire che è un sistema pessimo, ma comunque il migliore fra quelli conosciuti.

Quindi l’Occidente, che dell’ordine “globale” è l’artefice e su di esso basa la propria prosperità e il proprio predominio, non ha alcun interesse a indebolirlo consentendo alla Russia di ottenere qualcosa da un conflitto che ha scatenato in violazione dell’ordine stesso.

 

L’evento principale di riferimento degli ultimi giorni è il G-20 di Bali. Questo evento che riunisce le venti maggiori economie mondiali, rappresenta quanto di più simile abbiamo ad un “Governo Planetario”, in quanto riunisce il G7 e i BRICS assieme alle altre economie prospere e quindi anche a tutte le diplomazie “che contano” al mondo.

Fra le altre cose si tratta di una “vetrina” dove esporre le proprie conquiste e stabilire i rapporti globali, naturalmente in seguito ad un’accurata preparazione a monte.

Fra le tante attività che hanno preceduto l’evento, abbiamo assistito all’alternanza di notizie sulla presenza o meno di Putin e sulla possibilità o meno per Zelensky (che del G-20 non è membro) di intervenirvi. Alla fine il presidente ucraino è intervenuto in remoto e quello russo non si è fatto vedere del tutto, facendosi rappresentare invece dal Ministro degli Esteri Lavrov, che è anche ripartito con un giorno di anticipo dopo aver sperimentato un quasi completo ostracismo da parte dei presenti.

Questo fatto in sé è altamente indicativo dello stato attuale del prestigio di Mosca nel mondo, che a sua volta è lo specchio della situazione militare sul campo.

 

Il G-20 non è un consesso “occidentale” e quindi non è schierato a priori dalla parte dell’Ucraina aggredita: raggruppa al suo interno tanto le democrazie dell’Occidente o ad esso alleate come il Giappone e la Corea del Sud, quanto le “Tigri” asiatiche, i rappresentanti del Medio Oriente, del Sudamerica e dell’Africa, e la stessa Cina. Il posizionamento di molti di costoro a fronte di un conflitto come quello ucraino non è dettato da simpatie politiche quanto da convenienze economiche e geopolitiche, entrambe le quali tendono a privilegiare il più forte e non chi avrebbe ragione secondo le proprie convinzioni etiche.

Il fatto stesso che la Russia sia risultata così isolata a Bali, dove solo la Cina ha offerto un supporto peraltro limitato e circostanziato, indica come la percezione generale dopo la liberazione di Kherson sia che Putin stia perdendo la “sua” guerra.

«Quest’anno abbiamo assistito all’ulteriore impatto negativo della guerra in Ucraina sull’economia globale. La questione è stata discussa. Abbiamo ribadito le nostre posizioni nazionali espresse in altre sedi, tra cui il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, nella Risoluzione n. ES-11/1 del 2 marzo 2022, adottata a maggioranza deplora con la massima fermezza l’aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina e richiede il suo ritiro completo e incondizionato dal territorio dell’Ucraina», si legge difatti al terzo punto della dichiarazione conclusiva adottata dai partecipanti alla riunione dopo l’affrettata partenza del rappresentante russo. Considerato che il G-20 è un consesso dedicato principalmente ai problemi economici, si tratta di una presa di posizione estremamente dura, che la stessa Cina ha firmato, pur con qualche distinguo.

 

Questa dura dichiarazione finale è frutto degli eventi più recenti. La diplomazia ucraina infatti ha colto l’occasione dell’evento di Bali per rendere nota la propria posizione diplomatica, formalizzata in una proposta che accoglie i recenti suggerimenti occidentali di ammorbidire almeno in parte le proprie richieste almeno per quanto attiene al punto particolarmente “spinoso” relativo alla Crimea. L’“offerta di pace” presentata dall’Ucraina in dieci punti copre fondamentalmente i seguenti aspetti: la Russia ritira le sue truppe dai territori occupati e consente alle forze armate ucraine di raggiungere il confine di Stato, mentre la Crimea rimane sotto amministrazione civile russa per sette anni in condizioni smilitarizzate e la Russia riceve garanzie che l’Ucraina non aderirà alla NATO per quegli stessi sette anni; garanzie di non aggressione reciproca sono sostenute e controllate da sei Paesi e la Transnistria passa sotto il controllo della Moldova. Nel 2029 lo status finale della Crimea e l’adesione dell’Ucraina alla NATO sarebbero rivalutati. In cambio dell’accettazione di tali condizioni Putin e i suoi alleati vedrebbero cadere tutte le accuse penali che li riguardano e sarebbero autorizzati a restare in carica.

 

L’esperto di politica russa Valery Solovey, ex professore dell’Istituto per le relazioni internazionali di Mosca,ritiene che l’offerta sia stata accolta positivamente dalla cerchia del presidente russo, soprattutto perché permetterebbe a tutti di non perdere la propria posizione di potere, e del resto anche Dmitry Peskov avrebbe dichiarato che l’”Operazione Militare Speciale” si concluderà con il raggiungimento dei suoi obiettivi, ma che questi potrebbero essere raggiunti tanto militarmente che per via negoziale…

 

Il problema è naturalmente rappresentato dall’intransigenza dello stesso Putin, che ha legato il suo destino politico e personale al successo del suo progetto revisionista; lo stesso Solovey si è detto scettico sulle possibilità di una sua accettazione di una proposta come quella ucraina anche solo come base di discussione. Ha infatti commentato che qualora la risposta a tale offerta fosse stata una ripresa dei massicci attacchi alle infrastrutture civili ucraine avremmo avuto la conferma sulla decisione dell’orso Vladimiro di proseguire la “sua” guerra.

Sappiamo tutti cosa è successo ieri, con la conferenza del G-20 ancora in corso.

Il “Regime Change” continua pertanto ad apparire come l’unica opzione realistica di far tacere le armi una volta per tutte.

 

Orio Giorgio Stirpe