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La guerra in Ucraina continua, anche se se ne parla di meno.

E se se ne parla di meno non è perché ci siano meno sviluppi di prima, ma perché la macchina dei Media ha deliberatamente scelto di occuparsi di altro: non per ragioni politiche, ma di marketing.

Gaza “vende” di più, perché richiama un problema molto ben noto e familiare, e nel contempo distrae da una storia che ormai stava diventando difficile da “vendere” nei notiziari. Questo non significa che Gaza sia un problema più importante, grave o pericoloso: significa solo che “vende” meglio, almeno per il momento.

 

In realtà, esistono sempre due piani diversi nella nostra visione della realtà che ci circonda: esistono i fatti, ed esiste il modo in cui questi vengono rappresentati da chi ce li propone. Quel “chi ce li propone” è un intermediario, il “medium” (in latino, non in inglese) che ci fornisce l’informazione dopo averla trattata.

Ora, i “media” (plurale del neutro latino “medium”: lo sanno in molti, ma non tutti) che forniscono l’informazione, non lo fanno per gentilezza, ma perché si tratta del loro commercio; si fa presto a dire “servizio pubblico” quando si parla dei media di stato, ma alla fine siccome si devono mantenere (anche) con i proventi del servizio stesso, il loro lavoro è diretto al guadagno, e quindi all’audience che genera commesse pubblicitarie che a loro volta generano ricavo economico.

Se noi tenessimo sempre conto di questo fatto fondamentale, forse ci arrabbieremmo di meno e nel contempo cadremmo meno spesso nei tranelli dell’informazione che ci viene venduta: un po’ come al supermercato scegliamo non solo in base all’etichetta ma anche in base al rapporto qualità prezzo.

Invece spesso cadiamo nella trappola e prendiamo l’informazione per il suo valore nominale, perché si tratta sempre della soluzione più semplice. E siccome siamo annoiati, la prendiamo anche seriamente, e così ci lasciamo coinvolgere: ci “schieriamo”.

Alla fine è la stessa trappola per cui leggiamo la storiella per bambini sulla confezione dei corn-flakes anche se siamo adulti, oppure per cui ci facciamo prendere dall’avvenenza del personaggio che offre la propria immagine per lo spot.

Quindi alla fine i media plasmano le nostre opinioni, anche quando in realtà non hanno un motivo politico per farlo, ma semplicemente una motivazione economica.

 

Questo naturalmente chi pratica la guerra ibrida lo sa benissimo, e ne approfitta. Lo fa inserendosi malignamente nel flusso delle notizie, a volte anche provocandole, e indirizza tale flusso nella direzione che meglio gli conviene.

Il capolavoro di chi fa guerra ibrida è quando riesce a far coincidere l’interesse commerciale dei media con il proprio. Quando un filone di notizie specifiche attira molto l’attenzione e in più la orientano nella direzione desiderata per raggiungere il proprio obiettivo “ibrido”.

 

Il caso più classico sono le sofferenze dei civili in guerra.

Si tratta di un argomento classico, che giustamente indigna facendo perno sulle giuste convinzioni morali del nostro pubblico, che tende a identificarsi con le vittime e ad opporsi a chi le provoca. Questo però avviene quando le vittime sono convenientemente pubblicizzate: per cui succede che ci sono vittime “vendute” con successo e altre che vengono del tutto ignorate perché non “vendono” bene. Per esempio i Rohingya birmani “vendono male”, i curdi “vendono” così così, mentre i palestinesi “vendono” benissimo. I congolesi, chissà perché, non “vendono” per niente.

Non starò a dibattere delle ragioni politiche o etiche di ciò: mi basta rimarcare che questo sia un fatto; è sui fatti che si pianifica la condotta delle guerre, comprese quelle ibride.

 

L’aspetto ibrido del conflitto ucraino è quello dove la Russia ha avuto più successo.

A fronte del completo fallimento in campo militare convenzionale, dove un esercito inizialmente dotato di una superiorità soverchiante è ora costretto a difendere ciò che resta dei territori inizialmente occupati sperando in un congelamento del conflitto che gli lasci in mano almeno qualcosa prima che la situazione sul campo degeneri completamente, l’aspetto ibrido ha fruttato alcuni risultati positivi.

Come ormai andiamo ripetendo da molti mesi, il conflitto ucraino può concludersi solo in due modi: con il ripristino dell’integrità territoriale ucraina e il cambio di Regime russo, oppure con un “congelamento” che lascerà la situazione bloccata ad incancrenirsi fino ad uno scoppio successivo (esattamente la situazione in medio Oriente da ottant’anni, che non credo convenga a nessuno se non a Putin).

La variabile che decide fra i due esiti è costituita dal sostegno occidentale all’Ucraina: fintanto che dura, il primo risultato è solo questione di tempo; ma se cessa, il secondo diventa inevitabile. Ora, siccome il costo reale del sostegno occidentale in realtà è minimo (inferiore al conflitto in Afghanistan per intenderci, del quale ci si era anche a tratti dimenticati), non si capisce come il sostegno dovrebbe ragionevolmente venire a mancare; poiché questo è un fatto, la strategia ibrida russa tende a “vendere” questo fatto con un’immagine differente, tesa a farci vedere un “costo” esorbitante che in realtà per l’Occidente non esiste. Esiste per gli ucraini, naturalmente: ma siccome si tratta di un popolo arrabbiato, pare proprio che loro il costo siano disposti a pagarlo… Quindi occorre “vendere” in Occidente l’idea dell’”adesso basta”.

 

La strategia dell’”adesso basta” è variegata, e spesso cambia direzione e argomento principe. All’inizio l’argomento era l’”invincibilità” della Russia. Quando questo mito è stato logorato dagli imbarazzanti fallimenti militari di Putin, si è passati alla solidarietà pelosa con i poveri soldati ucraini: ricordate quel “per l’amor del cielo, fermate Zelensky!” durante i contrattacchi estivi ucraini del 2022 e del 2023? Chissà perché lo stesso non si applica durante gli attacchi invernali dei russi a Bakhmut l’anno scorso e ad Avdiivka adesso: i morti fra gli attaccanti sono MOLTO più numerosi nel secondo caso, ma a nessuno viene da dire “per l’amor del cielo, fermate Putin” per salvare i poveri soldati russi.

Ora, questa è manipolazione, tipica della guerra ibrida studiata a tavolino. Chi ci si presta, è un utile strumento di chi la guerra ibrida la studia.

 

La guerra ibrida è un campo di studi molto vasto e profondo; la pianificazione di una campagna ibrida parallela o meno ad una convenzionale, è una faccenda estremamente complessa, e prevede una serie molto lunga di misure da prendere anche con largo anticipo.

In generale la pianificazione militare prevede fra le altre cose i “piani di contingenza”: pianificazioni dettagliate stese in anticipo per azioni previste probabili ma non già fissate cronologicamente, da attivare eventualmente al momento opportuno.

Personalmente ritengo che l’azione di Hamas del 7 ottobre costituisca proprio la messa in atto di una pianificazione di contingenza.

Lo penso perché si è trattato di un’azione estremamente complessa e molto ben studiata, che nella sua pianificazione di dettaglio richiedeva elementi tecnici, professionali, informativi, economici, logistici ed esecutivi di cui Hamas non dispone e che sono invece propri di uno Stato-Nazione progredito.

Esclusa la collaborazione di un paese arabo (a nessuno dei quali conviene quanto sta succedendo), rimangono solo l’Iran e la Russia ad avere legami storicamente accertati di collaborazione fattiva (anche se non di dipendenza o sudditanza ideologica, trattandosi di un “alleato infido” per entrambi) con Hamas.

Il dito è stato subito puntato sull’Iran, ma francamente a me appare poco plausibile: l’Iran ha i suoi grossi problemi interni adesso, e l’idea che Gaza possa “distrarre” la sua popolazione da tali problemi è sbagliata. Lo dico perché chi si oppone al Regime degli Ayatollah non è affatto ostile a Israele e non si sente affatto “compattato” con il proprio Governo dalla crisi palestinese. Inoltre, se l’Iran fosse stato consenziente all’azione del 7 ottobre, avrebbe attivato Hezbollah shiita (che dall’Iran dipende, a differenza di Hamas che è sunnita) per sfruttare appieno l’effetto sorpresa e massimizzare il danno iniziale a Israele prima che questo potesse mobilitare.

L’attacco di Hezbollah non c’è stato, e l’Iran continua semplicemente a parlare senza fare nulla; Israele stessa sta sostanzialmente ignorando Hezbollah e l’Iran, limitandosi a scambiare qualche razzo in Libano, mentre si concentra su Gaza: non è un problema di concentrazione delle forze, perché Israele una volta mobilitata dispone di forze più che sufficienti per combattere su più fronti, e Hamas non è militarmente un avversario significativo.

Se l’Iran è “innocente” per il 7 ottobre (per quanto un Regime criminale possa essere “innocente”), rimane solo la Russia ad aver potuto fornire il sostegno organizzativo necessario ad Hamas (tipo immagini satellitari) e lo stimolo ad attaccare in un momento preciso (l’inizio dell’azione ad Avdiivka).

 

Molti insistono che la Russia non ha motivo di attaccare Israele, anzi… Ma non aveva nemmeno motivo di attaccare l’Ucraina, da NOSTRO punto di vista. Il punto di vista di Putin però è MOLTO diverso dal nostro, e si basa sulla convinzione dell’irriducibile contrasto con l’Occidente “collettivo” (di cui Israele è parte organica), sull’irrilevanza dell’opinione delle popolazioni (russa compresa) e sulla costante convenienza ad innalzare la tensione e la confusione a livello globale non solo per disperdere le energie dell’Occidente, ma soprattutto per confondere la sua opinione pubblica.

Per spingere il pubblico in Occidente a dire “adesso basta!”.

 

“Adesso basta!” significa spingere i governi occidentali a cessare ogni sostegno ai suoi alleati in giro per il mondo (Ucraina, Israele, Taiwan…), visti come “provocatori” e “colonizzatori” anche quando lottano per la propria sopravvivenza, e a lasciare che “le masse” pilotate dalle autocrazie facciano ciò che a loro meglio aggrada indipendentemente dalle conseguenze, che non sarebbero “affare” dell’Occidente (a meno di voler tornare al colonialismo).

 

Si chiama Guerra Ibrida: l’ultima chance dell’Orso Vladimiro.

 

Orio Giorgio Stirpe