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Visto che sul fronte permane la situazione di sostanziale stallo militare con il tritacarne di Bakhmut sempre attivo e gli ucraini che eseguono un esasperante contrasto dinamico in ambito urbano logorando tanto le proprie riserve di fanteria leggera che ciò che resta delle forze d’assalto russe, in attesa di capire con certezza a quale parte tale situazione convenga di più, allarghiamo l’orizzonte e scrutiamo la situazione diplomatica.

Leggo sempre più spesso della frustrazione da parte dei sostenitori della diplomazia a tutti i costi, che non si capacitano di come questa appaia essere sostanzialmente accantonata tanto dai partecipanti diretti al conflitto che dall’Occidente che sostiene e alimenta lo sforzo militare ucraino.

Non mi riferisco ai minions, quelli che insistono come l’Occidente sia caparbiamente deciso a “combattere fino all’ultimo ucraino”, ignorando tanto l’analoga caparbietà dei russi che il diritto degli ucraini a decidere da sé, quando agli osservatori competenti che osservano la situazione sotto le lenti asettiche di chi ha deciso di porsi in maniera imparziale di fronte al conflitto.

 

Queste persone, spesso assolutamente competenti, contestano il rifiuto ucraino a trattare (esiste perfino un atto legislativo in merito approvato dalla Rada di Kyiv) e soprattutto la mancanza di una pressione occidentale a farlo. Che anche la Russia rifiuti di trattare (a meno che l’Ucraina non accetti “tutte” le rivendicazioni russe) non sembra preoccuparli troppo, visto che la Russia è l’aggressore e quindi rappresenta il “cattivo” che ovviamente non collabora. Esiste però la convinzione da parte loro che la posizione russa sia strumentale e dipenda proprio dalla rigidità ucraina: insomma, se Zelensky accettasse di discutere secondo loro Putin non si tirerebbe indietro.

Che anche la posizione ucraina possa essere altrettanto strumentale (e che quindi se fosse Putin ad accettare di discutere, Zelensky non si tirerebbe indietro nemmeno lui) non li sfiora neppure.

 

Istintivamente, questa posizione mi ricorda quella trita e ritrita per cui alla fine la “colpa” deve necessariamente essere dell’Occidente, anzi dell’Amerika, anzi dell’establishment economico e militare del Deep State di Washington (magari anche di matrice ebraica).

Però, siccome non sto scrivendo per fare polemica ma per cercare di fare chiarezza, cercherò di mettere da parte i miei istinti e di affrontare la questione a mente aperta.

 

A mente aperta, devo ammettere che queste persone non hanno proprio TUTTI i torti: è vero che probabilmente se Zelensky fosse disposto a mettere qualche concessione sul tavolo, Putin si siederebbe a discuterne.

Se non l’orso Vladimiro in persona, di sicuro il suo entourage si è ormai reso perfettamente conto di non avere nessuna possibilità di vincere militarmente il conflitto conseguendo gli obiettivi enunciati al suo inizio, e vede chiaramente come un proseguimento ad oltranza delle ostilità metta a rischio la tenuta stessa del regime se non dell’intera Federazione, e quindi una soluzione negoziata sia assolutamente desiderabile… Purché salvi la faccia del Regime stesso, lasciando quindi qualcosa in mano all’aggressore.

 

Ciò che la maggior parte di queste persone rifiuta di prendere in considerazione, è che gli ucraini (non semplicemente “Zelensky”) rifiutano di mettere sul tavolo concessioni di natura territoriale di alcun tipo.

Irragionevoli? Signori, secondo le ultime stime credibili trapelate sui media, gli ucraini hanno perduto in combattimento centoventi mila uomini fra morti e feriti gravi, senza contare i feriti meno gravi e le vittime civili il cui numero è ancora del tutto aleatorio, e senza contare le devastazioni del territorio e dell’infrastruttura: un prezzo altissimo pagato per arrestare l’invasione del “secondo esercito più potente del mondo”.

Una Nazione che ha pagato un prezzo del genere – inconcepibile per la nostra opinione pubblica – e che vede la possibilità di vincere militarmente, non può essere disposta a concessioni territoriali. Sarebbe assurdo aspettarselo.

 

Perché non può?

Ma perché dal 1945 nessun conflitto si è chiuso con una pace che abbia riconosciuto concessioni territoriali all’aggressore, e gli ucraini non vedono perché proprio loro dovrebbero essere i primi a subire tale umiliazione… Soprattutto visto che sentono di stare vincendo.

 

Prima obiezione dei sostenitori della diplomazia: chi lo dice che stanno vincendo?

Potrei rispondere che lo dicono i massimi esperti in materia militare del mondo, dallo Stato Maggiore britannico al generale Hodges, e in un impeto di autocompiacimento potrei dire che lo dico anche io, ma non sarebbe quello in punto; il punto è che lo dicono gli ucraini. LORO sono convinti di vincere, e tanto basta.

 

Seconda obiezione dei sostenitori della diplomazia: dovrebbe essere l’Occidente a convincere gli ucraini della necessità non tanto di sedersi al tavolo, quanto di mettere qualcosa sul tavolo stesso per indurre i russi a sedersi a loro volta. Magari per convincerli dovrebbe anche minacciare di ridurre gli aiuti… Naturalmente in nome della pace.

Qui il punto non è tanto morale (non si abbandonano gli amici nel momento del bisogno) o etico (non sarebbe giusto tirarsi indietro dopo essersi impegnati), ma pratico: all’Occidente non conviene che l’Ucraina sacrifichi territori per la pace, sebbene la pace sia effettivamente conveniente per l’Occidente per ovvie ragioni.

Non conviene perché creerebbe un precedente catastrofico, in quanto ogni dittatore con uno straccio di esercito vedrebbe la possibilità di tornare alle politiche del XIX Secolo, dove si facevano le guerre per conquistare territori contesi ai vicini allo scopo di accaparrare ricchezze e ubriacare le popolazioni con il nazionalismo. L’ordine globale ne uscirebbe sconvolto e le guerre ad alta intensità – che finora erano considerate irrazionali e anti-economiche – tornerebbero ad essere all’ordine del giorno.

 

Terza obiezione dei sostenitori della diplomazia: tutti i conflitti risoltisi diplomaticamente hanno visto le trattative iniziare prima del ritiro dell’aggressore dai territori occupati, e quindi gli ucraini dovrebbero sgombrare il tavolo da questa loro pregiudiziale per consentire l’avvio dei colloqui.

E qui arriviamo al nocciolo della questione, che ai più sfugge: la differenza fra una trattativa di pace e una per il “cessate il fuoco”. Non si tratta affatto della stessa cosa.

 

È verissimo che se gli ucraini togliessero il vincolo del ritiro russo per avviare colloqui bilaterali i russi accetterebbero di discutere anche senza la garanzia di vedersi riconoscere vantaggi territoriali. Ma questo dipende dal fatto che ai russi – in quanto militarmente più in difficoltà – conviene un armistizio: un “cessate il fuoco” che congeli la situazione anche in mancanza di una soluzione diplomatica del conflitto.

In sostanza, si tratterebbe di “congelare” il conflitto, NON di risolverlo.

 

Il concetto di base di un conflitto congelato, è esattamente quello della carne messa nel freezer: quando serve, la si scongela. L’aggressore può riprendere il conflitto in qualsiasi momento esso ritenga sia conveniente.

E QUESTO Zelensky e gli ucraini non possono accettarlo.

 

Gli ucraini non vogliono un “cessate il fuoco”, perché questo avvantaggerebbe solo i russi, dando loro fiato e lasciando a tempo indeterminato territori e popolazioni ucraine sotto occupazione negando all’esercito ucraino la possibilità di liberarli in tutto o anche solo in parte.

Gli ucraini vogliono un trattato di pace, che è cosa ben diversa: un documento che ponga definitivamente termine al conflitto. E intendono raggiungerlo SENZA concessioni territoriali di sorta, in quanto ritengono di essere tutt’altro che sconfitti (perché ammettere la sconfitta se sentono di star vincendo?), e sanno di essere sostenuti da un Occidente che non può accettare compensi territoriali per l’aggressore.

 

I russi non vogliono un trattato di pace che non conceda loro almeno qualche vantaggio territoriale, perché loro di morti o feriti gravi ne hanno subiti più di duecento mila, hanno visto il loro vecchio esercito professionale umiliato e distrutto, trasformato in un’orda di mobik smandrappati e la loro economia spezzata per un progetto su cui l’orso Vladimiro si è giocato tutto: il Regime non sopravvivrebbe ad una tale umiliazione.

 

In conclusione: semplicemente al momento non ci sono le condizioni per una soluzione negoziata, e la dimostrazione di questo è che nessuno si è fatto avanti offrendosi come mediatore, ben sapendo che così facendo si “brucerebbe”. L’ONU, l’India, il Papa: tutti coloro che avrebbero il prestigio per provarci, restano alla finestra in attesa del momento giusto.

 

Le guerre vere, quelle simmetriche ad alta intensità, si decidono sul campo.

Quando il campo di battaglia avrà dato il suo responso, ci si potrà sedere al tavolo: bisognerà che gli ucraini abbiano perso la loro sicurezza di poter vincere, oppure che i russi abbiano finalmente capito di non poter salvare il loro Regime.