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Ieri abbiamo concluso la nostra analisi chiedendoci se non sia il caso di ringraziare l’orso Vladimiro. I nostri amici ucraini non ce ne vogliano per questo: sappiamo anche troppo bene tutti quanti che c’è poco da ringraziare per le devastazioni e i lutti che un brutale dittatore sta apportando ad un pacifico vicino, che per di più viene assurdamente dipinto di “nazismo” da una propaganda allucinata.

Il ringraziamento, naturalmente, è ironico. Perché da un punto di vista strategico le azioni dell’orso stanno letteralmente facendo a pezzi le sue stesse ambizioni imperiali che a loro volta rappresentano una grave minaccia per l’Europa.

Lo scopo strategico dichiarato di Putin all’inizio della sua “operazione speciale” era riportare il territorio ucraino sotto il controllo politico-militare russo e respingere a sua volta la NATO più lontano dalle frontiere della Federazione, accrescendo così la sua capacità difensiva militare.

Ora, comunque si concluda il conflitto, l’Ucraina è definitivamente perduta per la Russia: dopo un’aggressione così selvaggia e sanguinosa, perfino i russofoni dell’est si sono sentiti traditi e l’odio anti-russo che prima era una semplice invenzione della propaganda del Cremlino adesso permea effettivamente l’intera società ucraina. Non importa in quale forma e con quali confini a est, ma la posizione strategica dell’Ucraina ormai è saldamente e definitivamente cementata nel campo occidentale in funzione anti-russa.

Nel contempo, anziché arretrare verso ovest, la NATO si è estesa verso est con la richiesta di ammissione di Svezia e Finlandia – due Nazioni militarmente molto significative – mentre la Moldova che era rigidamente neutrale proprio per il timore della Russia, si è a sua volta posta sotto la protezione occidentale condannando l’exclave della Transnistria all’isolamento se non alla resa. Ancora peggio, il rancore ucraino contro i “fratelli” russi è destinato a generare un riavvicinamento storico ai “cugini” polacchi, con i quali l’Ucraina divide una parte sostanziale della propria storia, creando ai confini occidentali della Russia un blocco politico-militare non solo saldamente ancorato alla NATO, ma anche unito da un sordo risentimento contro il pericoloso vicino orientale.

Infine, il prezzo pagato per questo bel risultato strategico è la distruzione di una parte sostanziale delle Forze Armate russe, valutabile approssimativamente nella misura del 25%. Perdite umane difficilmente rimpiazzabili a causa della loro professionalità, danni materiali non reintegrabili a causa delle sanzioni che bloccano larga parte dell’industria pesante, e soprattutto una perdita di prestigio militare irrecuperabile agli occhi dei militari professionisti di tutto il mondo.

 

In sostanza, Vladimir Putin ha ottenuto l’esatto opposto del risultato che si era proposto: l’Ucraina è definitivamente trasformata in un nemico, la NATO si è rafforzata e ulteriormente avvicinata al cuore della Russia, e in più l’apparato militare e il prestigio russo nel mondo sono profondamente erosi… Il tutto con una costosissima guerra ad alta intensità tuttora in corso e di cui non si riesce a vedere una conclusione che non sia foriera di un ulteriore peggioramento della situazione strategica; in cambio, una striscia di territorio occupato lungo il confine, devastato dai combattimenti e popolato in gran parte da una popolazione ostile fra cui sta già montando la resistenza armata.

L’orso Vladimiro avrebbe poco di cui essere soddisfatto nei confronti dell’autore di un simile pasticcio strategico, se non fosse che si tratta di lui stesso.

 

Ma poiché si tratta appunto di lui stesso e non ha un capro espiatorio credibile da sacrificare (a parte un certo numero di generali, dirigenti pubblici e responsabili dei Servizi Segreti recentemente licenziati, “avvicendati” o semplicemente scomparsi), occorre cercare di dipingere la situazione come una vittoria sfolgorante, ottenuta sulle orme di Pietro il Grande.

 

L’operazione propagandistica volta a cercare di raffigurare la posizione russa come “vincente” è curiosamente facilitata dalle istanze del governo ucraino: il presidente Zelensky, che a sua volta è pressato da un’opinione pubblica ormai fortemente nazionalista e quindi anche da un’opposizione parlamentare di destra in crescita, ha bisogno di rafforzare il più possibile le sue Forze Armate per arrestare definitivamente gli invasori e possibilmente organizzare anche una controffensiva. Per questo deve fare pressione sui suoi alleati occidentali in modo da ottenere quanti più aiuti possibile, e il modo migliore è enfatizzare le perdite ucraine e rappresentare la minaccia russa come sempre più grave in modo da esercitare una pressione sui governi europei e americano attraverso le rispettive opinioni pubbliche favorevoli all’Ucraina stessa.

 

Il risultato è la narrativa corrente, dove i russi appaiono avanzare costantemente e inesorabilmente anche se sempre più lentamente, e gli ucraini appaiono sempre più con l’acqua alla gola in quanto lo dicono loro stessi.

In realtà le due versioni che appaiono confermarsi a vicenda, sono entrambe falsate dalla necessità delle opposte propagande di ottenere l’effetto desiderato sui rispettivi “target” di popolazione.

Come abbiamo ripetuto più volte ormai da settimane il fronte è in realtà praticamente fermo, soprattutto in confronto a quanto fosse in movimento nei primi due mesi di guerra; dalla frontiera bielorussa fino a oltre Kharkiv, e da Donetsk al mare praticamente non si muove più niente. Lungo il saliente ucraino nel Donbass posto in mezzo a questi due “rami secchi” dove il fronte si è bloccato, i combattimenti continuano via via sempre più intensi fino al vertice del saliente, dove è concentrato lo sforzo residuo dell’intero esercito russo.

 

Qui a Severodonetsk, al vertice del saliente, la guerra ha ancora la violenza e la ferocia che all’inizio vedevamo lungo l’intero, lunghissimo arco del fronte d’invasione, e le perdite reciproche sono ancora gravissime.

Ma se la furia del conflitto è concentrata in un solo punto, significa che lungo tutto il resto del fronte le truppe stanno rifiatando… Con una differenza sostanziale.

 

Le forze ucraine non impegnate nel “calderone” del Donbass stanno recuperando molto lentamente la capacità operativa mentre numerose brigate mobilitate di fresco si stanno addestrando alle loro spalle, ricevendo lentamente ma con continuità armamenti occidentali che le renderanno pronte al combattimento verso la fine dell’estate.

 

Le forze russe non impegnate invece vengono impiegate per alimentare l’offensiva contro Severodonetsk: perché per assaltare frontalmente posizioni fortificate occorre una forte superiorità numerica che i russi nel complesso non hanno più. Siccome non esistono Brigate in riserva o in addestramento alle loro spalle, per ottenerla devono necessariamente “cannibalizzare” le unità non impegnate e schierate lungo il fronte inattivo e raggruppare costantemente i BTG che attaccano le linee ucraine nel Donbass.

In questo modo l’avanzata – per quanto lenta – prosegue, ma le perdite continuano a montare e il resto del fronte russo continua ad assottigliarsi…

…Mentre quello ucraino rimane stabile, e alle sue spalle si formano nuove Brigate.

 

Leggo oggi che lo Stato Maggiore britannico è giunto a queste stesse conclusioni. È vero che le esternazioni di fonte britannica sono sempre le più ottimistiche nei confronti di Kyiv, e che il loro contenuto ha una valenza volta ad influenzare a sua volta l’andamento delle operazioni (le cosiddette “Info-Ops”), ma è anche vero che sbilanciandosi troppo si rischia di perdere credibilità e quindi di solito si evita di allontanarsi troppo dalla realtà oggettiva delle operazioni.

 

Rimane il fatto che la situazione strategica dell’orso è di gran lunga peggiore di quella in cui si trovava all’inizio della guerra; quella tattica potrebbe sembrare migliore… Ma molto più probabilmente non lo è.

 

Orio Giorgio Stirpe