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Sono diversi giorni ormai che non posto commenti di natura tattica alle operazioni in atto in Ucraina. Si tratta dei commenti che mi riescono più spontanei, quelli che mi interessano maggiormente e anche i soli per i quali ritengo di avere un titolo specifico ad esprimere giudizi: si tratta della mia specializzazione professionale.

Quando invece mi esprimo a livello strategico, politico-militare o addirittura economico-diplomatico, mi limito ad esporre opinioni che hanno lo stesso valore di quello di chiunque altro.

Purtroppo però – o per fortuna? – da qualche giorno trovo pochi spunti per ragionare sugli aspetti più prettamente militari del conflitto.

La ragione è semplice: non si sta verificando niente di nuovo sul campo.

 

Seguendo i mass media si ha la sensazione di un conflitto sempre più brutale e sanguinoso, senza nessuna variante nella narrazione, con l’aggressione che prosegue e la difesa disperata sempre in atto: sembra diventato ormai un cliché. Seguendo invece i social, indipendentemente dalla fonte si legge di avanzate russe inarrestabili e di un’Ucraina sempre più alle corde: ogni giorno vengono citati i nomi di nuove località conquistate dai russi, e le voci ucraine sembrano sempre più angosciate nel chiedere nuovi aiuti e soprattutto armi…

 

Io leggo, ascolto, e scuoto la testa perplesso, perché non trovo riscontri reali a nessuna delle due posizioni. La situazione generale non è affatto la stessa di un mese fa: è mutata profondamente. E nel contempo, tutte queste continue avanzate russe se vado ad analizzare la mappa delle operazioni, io non le vedo: non a livello operativo.

Forse sono io che ho perso il contatto con la situazione reale, come qualcuno mi suggerisce sui social? Possibile: in fondo sono solo un pensionato che specula sulla tastiera leggendo le notizie sul PC e chiacchierando con i suoi amici.

 

Eppure, rispetto alla situazione altamente instabile di un mese fa, quando l’offensiva russa nel Donbass minacciava di rompere l’equilibrio sul fronte e convergere su Kramatorsk da tutte le parti, le cose sono profondamente cambiate: adesso si parla solo di Severodonetsk, che è molto più piccola e molto più a est, e rappresenta solo l’estremità del saliente ucraino nella regione, che può ancora essere smussato ma non più reciso alla base.

E quando vado a cercare su google maps i nomi delle località russe conquistate, trovo solo villaggi minuscoli da sempre a ridosso del fronte, e nessuna località militarmente significativa: Izyum, Slaviansk, Kramatorsk… Tutti i nomi delle località-chiave delle operazioni sono scomparsi dagli schermi, sostituiti dai nomi dei sobboghi a nord di Severodonetsk, come Popasna, Rubizhne, Kreminna, Lyman… Località sicuramente importanti per chi ci abita, ma non significative per l’esito della guerra, in quanto poste lungo la linea del fronte e non in profondità.

 

Non ho neppure l’impressione che sia la propaganda russa ad accentuare successi minimi vendendoli come vittorie decisive; sembra più che molti giornalisti incaricati di seguire il conflitto siano a corto di notizie e tendano ad enfatizzare eventi che il mese scorso avrebbero del tutto ignorato. A questo si aggiunge anche l’atteggiamento delle autorità ucraine, che ovviamente tirano l’acqua al proprio mulino richiedendo sostegno materiale e morale per perseguire i loro scopi legittimi, ivi compreso un cessate-il-fuoco a condizioni più vantaggiose possibile.

Cessate-il-fuoco che ovviamente è anche l’obiettivo fondamentale della NATO: una cessazione temporanea delle ostilità su posizioni difendibili, che consenta un rafforzamento economico e militare dell’Ucraina tale da rendere il conflitto impossibile da proseguire militarmente per una Russia stremata dalle sanzioni e dalle perdite subite.

 

Siamo partiti da una situazione estremamente fluida, con i russi all’offensiva dovunque e gli ucraini disperatamente sulla difensiva; con il tempo le zone di attacco dei russi si sono andate riducendo sempre di più, con la resistenza ucraina che si irrigidiva e a volte si trasformava in contrattacchi locali che aumentavano sempre di più le perdite da entrambe le parti. Ora il settore di attacco russo è uno solo, e su tutto il resto del fronte entrambe le parti sono sulla difensiva, esauste dopo i combattimenti primaverili e stremati dalle perdite e dalla mancanza di rifornimenti.

La guerra è cominciata assomigliando alla “blitzkrieg” della Seconda Guerra mondiale; ora assomiglia sempre di più alle trincee della Prima, con la difesa che prevale sull’attacco quasi dovunque, e le poche offensive di successo che costano comunque più di quanto rendano.

 

La guerra in Ucraina non può più essere vinta sul campo. La Russia ha perso la sua opportunità di vincerla militarmente, e l’Ucraina non l’ha mai avuta. Ormai questo deve essere ben chiaro ai protagonisti principali di questo dramma, e il loro problema è di posizionarsi nel modo migliore possibile per la fase successiva: fase che, non potendo essere militare, dovrà necessariamente essere negoziale.

Durante un negoziato, gli aspetti di facciata diventano importanti quanto e più di quelli sostanziali, ed è per questo che personalmente mi trovo poco a mio agio a discuterne. Quindi la propaganda assume un’importanza sempre crescente, come la pubblicità nel commercio: aiuta a “vendere” la propria posizione al tavolo delle trattative, coinvolgendo il pubblico nel “tifo” a supporto della propria versione dei fatti, quali che essi siano.

Putin deve creare l’immagine di una Russia militarmente vittoriosa, che rinuncia magnanimamente a parte dei suoi obiettivi per acquisirne però i più importanti; Zelensky cerca di creare le condizioni per ottenere un ritiro del nemico il più vicino possibile alle posizioni prebelliche; l’Occidente vuole negare qualsiasi guadagno ottenuto con l’uso della forza da parte di una dittatura.

 

La discussione sarà lunga, e la pace è lontana. Però durante la discussione i soldati russi e ucraini potrebbero restare nelle loro trincee invece di spararsi inutilmente addosso, e questo sarebbe già un successo diplomatico da accogliere con soddisfazione.

Il problema è che questo sviluppo della situazione – secondo me ormai inevitabile – favorisce su tutte la posizione occidentale, e gli altri contendenti (Putin e Zelensky) se ne rendono perfettamente conto. Perché durante la pausa armistiziale, perdurando le sanzioni, l’Occidente continuerà a supportare economicamente e militarmente l’Ucraina; il divario militare fra le due Nazioni non potrà che ridursi sempre di più, e la Russia perderà il suo vantaggio militare e quindi anche quello negoziale. Indipendentemente da quanto durerà l’occupazione militare di territorio ucraino, prima o poi questo dovrà essere restituito come reclama l’Occidente.

 

Nel contempo però Zelensky non potrà ottenere quella vittoria cui anela, con la riconquista militare dei territori occupati e la soddisfazione del suo popolo stremato e amareggiato: alla fine dei suoi sforzi rischia di trovarsi inchiodato ad un tavolo per anni a discutere della restituzione di ogni singolo villaggio che sognava di liberare con le armi della NATO. E lui deve essere rieletto.

 

Insomma, entrambi i contendenti non sono affatto convinti che sedersi a discutere sia poi così una buona idea: politicamente rischia di essere un disastro per entrambi. Ecco quindi che sono impegnati in uno sforzo disperato per migliorare la propria posizione iniziale prima dell’inevitabile confronto diplomatico.

 

Tornando all’esempio storico precedente, la Prima Guerra mondiale non fu effettivamente vinta sul campo: gli Imperi Centrali si sfaldarono dall’interno quando la loro economia si disintegrò sotto il peso del blocco navale dell’Intesa e della sua superiorità economica.

 

Come il Kaiser Guglielmo II, l’orso Vladimiro ha iniziato la sua guerra con la massima baldanza, lanciando i suoi eserciti all’assalto lungo un fronte immenso, per poi finire infognato in una guerra di trincea che non poteva più vincere, in attesa che la pressione economica del nemico lo soffochi.

Il Kaiser finì in esilio quattro anni dopo aver scatenato la sua guerra. E Vladimiro?

 

Orio Giorgio Stirpe