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Il Green Deal e la Pac sono  diventati il capro espiatorio della politica e delle grandi associazioni di categoria per cavalcare le proteste, strumentalizzarle e trasformarle in consensi. Le proteste degli agricoltori, però, si fondano su ragioni ben diverse: concorrenza sleale  e pratiche commerciali sleali.

È sbagliato pensare che la protesta degli agricoltori italiani ed Europei sia solo contro il Green Deal e la Pac.                                 Il problema non  è il tanto l’obbligo di lasciare il 4% dei terreni a riposo valido solo per le grande azienda che possiedono +10 ettari ( su 30 ettari – 1,2 riposo) che al netto di tare su strade e siepi non incide molto, e non è la Pac il problema, (non tutte le aziende hanno i titoli Pac) sul divieto alla cosiddetta mono successione , stabilita da Bruxelles a partire dal  2024 per non perdere  il contributo ad ettaro della Pac (€150 per il grano e €200 per il mais). Anche perché non si può parlare  di agricoltura sostenibile, di ambiente per ridurre l’uso di concimi chimici e diserbanti, se poi non si è disposti a perdere 3-4 centesimi al kg della Pac, continuando a produrre grano su grano sugli stessi terreni.

E nessuno invece, si indigna che il prezzo del grano pagato oggi ai produttori appena 38 centesimi al kg è sceso del 40% rispetto allo scorso anno circa 55 centesimi kg. Anche perché coltivate  sempre lo stesso tipo di coltura, lo danno bene i produttori, impoverisce dei nutrienti necessari lo strato più superficiale del terreno, rendendo difficoltosa la coltura senza l’utilizzo di prodotti chimici.                                                                                                                                                                                La monocoltura, inoltre, ha come conseguenza anche la proliferazione di parassiti e delle piante infestanti. Al contrario, con l’avvicendamento colturale (tra l’altro oggi in uso in regime di agricoltura biologica e per la produzione integrata – agricoltura sostenibile che prevede già un regime di rotazione) va a diversificare non solo la tipologia di nutrienti assorbita dai vegetali, ma anche delle sostanze nutritive che ognuna di essi apporta al terreno in cui vengono coltivati. In tal modo, si riduce fortemente sia la trasmissione delle malattie crittogamiche sia la proliferazione dei parassiti.

Concorrenza sleale

È giusto che ci siano regole per tutelare l’ambiente. Ma non possono valere solo per gli agricoltori europei, se poi importiamo gli stessi prodotti che produciamo noi da Paesi che ce li vendono a prezzi più bassi, perché se ne fregano dell’ambiente e dei #diritti dei lavoratori, compresi i bambini.

Pratiche commerciali sleali

L’aumento dei costi di produzione, determinato soprattutto dall’aumento dei costi energetici e quindi del gasolio, dei fertilizzanti e dei pesticidi chimici di sintesi, ha penalizzato essenzialmente gli agricoltori, mentre l’agroindustria e la grande distribuzione sono riusciti a tutelare meglio i loro risultati economici. La situazione di crisi per gli agricoltori è stata aggravata anche dall’inflazione e dai provvedimenti assunti per contrastarla; confermando per gli agricoltori il ruolo di anello debole della filiera agroalimentare.

Questo avviene perché, nella follia del mercato, l’agricoltura non è il mezzo di sostentamento che ci permette di vivere ma solo ed esclusivamente una merce che è sottoposta a schizofreniche leggi: a determinare il ‘’prezzo’’ è il mercato globale con meccanismi e quotazioni internazionali.

Dal fatto che il prezzo di mercato è determinato in condizioni di concorrenza (dall’incontro della domanda e offerta al consumo) non si può automaticamente dedurre che lo stesso accada per il prezzo al produttore, in quanto quest’ultimo sarà determinato anche dal comportamento del settore distributivo.

In altri termini, gli agricoltori non hanno più a che fare con la domanda del consumatore finale, ma con la domanda espressa dai clienti intermedi quali le industrie di trasformazione o le imprese di distribuzione e commercializzazione. Devono essere incentivati quei modelli di distribuzione che permettono di accorciare la filiera al massimo, avvicinando quanto più possibile il produttore al consumatore così che, il primo, venga pienamente remunerato per il proprio lavoro, senza tagli e decurtazioni da parte di “anelli forti” che dettano le leggi del mercato e il secondo possa invece accedere a cibo sano e di qualità al giusto prezzo.

Troppo facile, insomma, prendersela con un Green Deal a tratti irriconoscibile rispetto alla proposta iniziale, che comunque si basa su un principio sacrosanto: rendere l’agricoltura dell’Ue più sostenibile da ogni punto di vista.

 

Certo, rimane il paradosso della riforma della Pac 2023-2027 è  la conferma di  sostegno all’agricoltura e zootecnia intensive dipendenti dal petrolio e gas, attraverso sussidi che promuovono l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi di sintesi e che favoriscono le grandi aziende agricole a discapito delle piccole, con oltre l’80 per cento dei fondi della Pac che vengono ancora distribuiti al 20 per cento delle aziende agricole europee.

La soluzione sarebbe semplice: niente più sovvenzioni basate sulla superficie e non più per pratiche che mettono in pericolo l’ambiente e il benessere degli animali. Al contrario, finanziamenti per la modernizzazione sostenibile e per chiunque crei un’agricoltura in armonia con la qualità del suolo e la biodiversità. E dall’altro, l’applicazione politica dei prezzi minimi  giusto prezzo per gli agricoltori.

E no, questo non rende il cibo più costoso. In passato, anche i prezzi alla produzione erano più alti e il cibo più economico. La differenza nel calcolo è stata la riduzione dei profitti delle aziende agricole, che  presentano forti asimmetrie nel potere contrattuale. Deve essere riconosciuto il costo di produzione come punto di partenza per il reddito di ogni agricoltore. E questa cifra non deve essere quella data alle OP o alle cooperative, ma ai produttori, altrimenti a chi lavora nei campi non rimane mai nulla per sopravvivere.

Non è più il momento di battaglie forti e solitarie l’uno contro l’altro.

Per questo è fondamentale la collaborazione tra sistema produttivo, distributivo e terzo settore basata sull’eco-progettazione per creare relazioni solide e trasparenti, per un’economia che metta al centro la persona, la dignità del lavoratore e sappia mettersi in sintonia con l’ambiente.

Un’economia sociale e solidale giusta e sostenibile capace di promuovere la protezione sociale e ambientale.

Dott. Enzo di Rosa – Settore agroalimentare Konsumer Italia