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Sembrerebbe l’incipit tra un romanzo fantasy e un horror, con qualche leggero ammiccamento per i più audaci di pensiero e, in effetti, non siamo troppo lontani dalla realtà.

Bentornati, cari amici di futuRisto. Oggi ci addentriamo nell’oscurità di una cucina fatta di colori intensi che ardono incessantemente, contrapposti al buio che cerca di frapporsi per dominare la scena.

Benvenuti nella terra di Firedoor.

Ci troviamo in Australia, continente che sembra essere ancora uno spartiacque tra il mondo conosciuto e un romanzo avventuroso di Jules Verne; una terra in cui lo stile di vita e la cultura risultano unici nel suo genere. Una storia ricca e diversificata che ha origine da popoli aborigeni risalenti a millenni fa, con le loro lingue e le loro filosofie che ancora sopravvivono nel meraviglioso outback delle comunità australiane odierne.

Ma siamo venuti qui per immergerci in ben altre sonorità esperienziali e quindi, cari Lettori, eccoci al 23 -33 Mary St Surry Hills, da Firedoor Restaurant, a Sidney.

Il vostro pensiero sarà andato all’Opera House, la caratteristica struttura a forma di vela che sorge vicino al porto… ma qui siamo arrivati in un’altra house, passando dalla porta del fuoco.

Nella rubrica futuRisto, come suggerisce il nome, si parla di Ristorazione declinata appunto al domani, ma che già vive e a volte domina il presente… come in questo caso, in cui ci siamo veramente dentro, con un’eccezione rispetto ad altri viaggi… perché in questo luogo si costruisce un futuro utilizzando il passato, come accade in altre situazioni, ma in questo caso attingendo a un passato arcaico, quasi ancestrale.

L’ingrediente principale? La legna declinata in meli, peschi, ironbark, viti, solo per fare alcuni esempi.

E gli ingredienti secondari? Carboni, braci, griglie e tanto fumo a fare da scenografia.

Lennox Hastie, che potremo considerare il pioniere del fuoco dei nostri giorni, dall’Inghilterra è giunto fin qui, nella patria della ristorazione del Nuovo Galles del Sud, per portare il proprio credo nella fiamma come strumento di sublimazione in cucina.

Intanto il posto è degno della sua insegna: non capita spesso, credetemi, di assistere a un simile spettacolo. D’altronde con il fuoco non si scherza. L’ambiente somiglia più a una tana che a un locale: è tutto un gioco di chiari e scuri in cui domina la cucina a vista e un bancone con una lunga serie di sedute.

In effetti sembra che Lennox abbia voluto riproporre l’immagine di un luogo primordiale, tra il Medioevo e qualche saga popolare. Quelle ricche di armature sfavillanti e draghi, che poi in effetti fuoriescono tra le pagine dei menù, e spade, che sembrano strepitare insistentemente nel loro clangore ogni volta che la legna arde con i propri scoppiettii. Il tutto senza rinunciare ai fasti della nostra epoca.

Direi astuto. Non vi pare?!

Ora che siamo dentro al mood passiamo al gusto. Si parla di innovazione con l’elemento tradizionale per eccellenza, già descritto poc’anzi: ogni materia prima è destinata alle fiamme. C’è una catena di montaggio ad hoc, fatta di mani che si muovono all’unisono con tempi stretti o lenti ma sempre cadenzati e scanditi da lancette impeccabili. Non parliamo non solo di passione ed estro culinario ma di tecnica scientifica, che si gioca al millesimo di secondo, ma anche di una conoscenza straordinaria dal singolo ingrediente e di ciò in cui può essere trasformato.

Nel processo di lavorazione non c’è spazio per gli errori, ma nel piatto non si avverte mai questo intersecarsi di precisioni, piuttosto si percepisce l’esaltazione di un concetto: riconosci esattamente dove lo Chef vuole arrivare con la sua idea di cucina, con quella sensazione di equilibrio che avverti indistintamente anche nella brigata che danza davanti ai fornelli nella sala principale. Il tutto senza che tu ti accorga del clamore che c’è dietro: quello è tutto nelle loro teste, ma tu non lo vedrai mai.

Non si parla solo di carne ovviamente. Si parla anche di prodotti di mare del posto, trattati in maniera sperimentale con la karkalla, succulenta pianta nativa o con altre materie sempre originarie. Esempi tipici di questi accostamenti embrionali li ritroviamo nelle Australian Marron, aragosta d’acqua dolce, o nelle Hapuka, pesce dalle carni molto sode.

Il Firedoor Restaurant è un’esperienza di qualità superiore per tantissimi motivi. Si distingue da tutto il resto e per questo attrae; unisce fantasia e un concetto del tutto personale, futurista e minimal di cucina che tuttavia affonda le proprie radici in tempi antichissimi; si avvale di conoscenza vera, derivante da studi approfonditi, oltre che da un’organizzazione impeccabile.

Qui mi permetto una velocissima digressione verso un tema a me caro, che non posso ignorare quando parlo di innovazione. In questo ristorante si percepisce chiaramente che ogni elemento, processo, reparto si muove simultaneamente con tutto il resto. Qui siamo nell’ideale del controllo della gestione dell’attività.

Si parte certamente da un modello che da principio ha già l’aria di essere vincente, ma qui lo si esalta. Il concetto di break even point dell’organizzazione in questo senso trova compimento, certamente, ma anche “a vista”, nel senso che si utilizzano complessi punti di riferimento visibili solo in un momento esatto, in una situazione come quella della cucina a fiamma viva in cui validi punti di riferimento, appunto, non è sempre facile trovarli.

Qui entra in gioco il controlling a livello di capitale intellettuale, rete, squadra che vince. L’apice di benessere per chi, come me, ha molto a cuore questo mondo.

Ecco che nasce, da pochissimi e semplici ingredienti, un’innovazione che è già tendenza.

 

Vincenzo Liccardi
Ceo & Founder – FoodCost in Cloud®
www.foodcostincloud.it