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Secondo le ultime dichiarazioni, l’ambizione di Putin adesso sarebbe quella di creare un passaggio terrestre con la Crimea. A parte l’ostinata resistenza dell’acciaieria di Mariupol, questo obiettivo in realtà sarebbe già bello che raggiunto: la strada che collega Rostov sul Don a Sebastopoli è completamente sotto controllo russo perché passa a nord dell’ultima sacca di resistenza e del resto il collegamento fra la 58^ Armata di stanza in Crimea e l’8^ proveniente dal nord-Caucaso era stato ottenuto più di un mese fa.

Le stesse dichiarazioni parlano anche di raggiungere Odesa; qui le cose si fanno più complicate. Paracadutisti e fanteria di marina che hanno espugnato Kherson con una brillante operazione all’inizio della guerra sono rimasti inchiodati davanti a Mykolayiv da allora, cioè a metà strada fra Kherson e Odesa stessa, e da un paio di settimane subiscono anzi i contrattacchi ucraini tendenti ad erodere la testa di ponte russa a ovest del fiume Dnipro.

 

Nel contempo, siamo da ormai settimane in attesa della grande battaglia per in Donbass: quella che dovrebbe portare al previsto scontro decisivo nell’area urbana di Kramatorsk e Slaviansk, che rischia di diventare una nuova Mariupol. Già, perché le precedenti dichiarazioni di Putin parlavano della liberazione del Donbass come del vero obiettivo della guerra.

 

Guerra che era iniziata con l’intento dichiarato ufficialmente di respingere la NATO sulla linea del 1991, disarmare e “de-nazificare” l’Ucraina, impedirne l’accesso alla stessa NATO e alla EU, e privarla ufficialmente di Crimea e Donbass.

Come districarsi in questo groviglio di rivendicazioni?

 

La mia impressione, e immagino anche quella di molti altri, è che Putin rimoduli le sue ambizioni in base alla sensazione che ha circa le capacità del suo esercito di realizzarle. La sconfitta nella battaglia di Kyiv lo ha indotto a rinunciare definitivamente alle ambizioni più sconsiderate e a restringere il fronte di combattimento, e adesso che sta per iniziare la seconda offensiva si è preparato una gamma di possibili risultati da poter rivendicare quali successi a seconda del risultato che i militari riusciranno ad ottenere sul campo.

 

Odesa è probabilmente il suo sogno più luminoso. Nel caso di una rapida conquista di Kramatorsk, Putin potrebbe rilanciare per sfruttare il successo, riorientare lo sforzo più a sud lungo la costa e premere una volta di più per conquistare la città sul mar Nero e raggiungere il collegamento con l’exclave isolata nella Transnistria. In questo caso l’Ucraina oltre che battuta militarmente, sarebbe amputata di tutta la sua costa, la Moldova e la stessa Romania sarebbero minacciate e il successo militare sarebbe quasi completo.

Personalmente tendo ad escludere che questo sia fattibile: anche in caso di successo a Kramatorsk, occorrerebbe anche un crollo nel morale ucraino per ribaltare le condizioni del fronte a Mykolayv, dove i russi sono non solo correntemente a mal partito, ma hanno anche una situazione logistica estremamente difficile a causa della lunghezza e della difficoltà dei collegamenti.

 

È molto più probabile che Putin si debba accontentare di un successo limitato come la conquista di Kramatorsk, probabilmente dopo una battaglia lunga, aspra ed estremamente costosa. Se riesce a prendere la città, o più probabilmente le sue rovine annerite, potrà proclamare la “liberazione” del Donbass e sedere finalmente al tavolo delle trattative con l’intenzione di porre veramente fine ai combattimenti.

 

Dato l’andamento dei combattimenti, il declino del morale e dei rifornimenti dell’esercito russo e il flusso crescente degli aiuti occidentali all’Ucraina, Putin ha però probabilmente anche preso finalmente coscienza dell’eventualità di un’altra sconfitta dei suoi soldati e della conseguente impossibilità di conquistare l’area di Kramatorsk-Slaviansk.

Se l’offensiva nel Donbass si dovesse esaurire allo stesso modo di quella di Kyiv, Putin si dovrebbe rendere conto di essere in un vicolo cieco. Un esercito battuto per la seconda volta, senza riserve e con alle spalle una Nazione in bancarotta economica non potrebbe offrire ulteriori possibilità. L’impiego di armi nucleari per forzare le cose a tutti i costi risulterebbe costoso oltre ogni ragionevolezza e probabilmente porterebbe solo ad uno stallo ancora più grave a causa della risposta occidentale, e probabilmente anche ad un ammutinamento di militari e oligarchi… Ma soprattutto la posizione stessa di Putin di fronte al suo popolo diventerebbe insostenibile a fronte del fallimento.

 

Ecco quindi la “ciambella di salvataggio”: il collegamento terrestre con la Crimea, che è già una realtà.

Nel caso la battaglia del Donbass si concludesse con un esito insoddisfacente e Kramatorsk rimanesse ostinatamente in mano ucraina – come appare sempre più probabile – Putin potrebbe ordinare un arresto delle operazioni quale segno di “buona volontà”, annunciare al mondo che la minaccia militare ucraina non esiste più grazie alle perdite inflitte all’esercito di Kyiv e alle distruzioni inflitte alla Nazione nemica, rivendicare la “de-nazificazione” a seguito della distruzione delle unità di “Azov” a Mariupol, e soprattutto reclamare l’avvenuto collegamento terrestre con la Crimea di cui si parla oggi.

In questo caso l’autocrate che attualmente sembra godere di oltre l’80% dell’approvazione presso il popolo russo potrebbe riuscire a salvare la faccia almeno in patria e presso i suoi minions occidentali, accettare un armistizio e l’inizio di trattative dove trascinare le cose il più a lungo possibile, con il fine ultimo di ottenere almeno un “conflitto bloccato” che lasci in essere il collegamento terrestre con la Crimea.

 

Non si tratterebbe di una soluzione di lungo periodo, ma porrebbe fine alla crisi e darebbe tempo all’orso Vladimiro.

Tempo per cosa?

Gli orsi non vivono per sempre…