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Da quello che abbiamo visto finora, e avendo esaminato le forze contrapposte, possiamo provare a individuare i possibili esiti della prossima battaglia che – ormai sembra abbastanza sicuro – si focalizzerà sul Donbass.

Fin dall’inizio del conflitto erano possibili quattro possibili risultati: un vittoria completa oppure limitata di ciascuno dei due contendenti. Mentre il successo ucraino appariva improbabile, specialmente se completo, ci si interrogava se la Russia sarebbe stata capace di cogliere una vittoria totale o solo parziale. La sconfitta nella battaglia di Kyiv ha reso impossibile una vittoria totale per Putin: non otterrà un cambio di regime favorevole e nemmeno la rinuncia ad un allineamento ucraino all’Occidente con l’adesione almeno alla EU. Una vittoria abbastanza convincente nel Donbass però potrebbe garantirgli il possesso definitivo della regione contesa così come della Crimea – de facto se non de jure – e l’agognata rinuncia all’adesione alla NATO. Inoltre la resa di Mariupol potrebbe permettere di proclamare la distruzione del famoso “battaglione Azov” e quindi una sorta di “de-nazificazione” dell’Ucraina che consentirebbe a Putin di presentare alla Russia se non al mondo l’immagine di un esito positivo.

Per ottenere questa vittoria parziale i russi devono come minimo completare l’occupazione degli oblast di Luhansk e Donetsk. Data l’attuale linea del fronte, questo richiede un’avanzata convergente sulla località più nod-occidentale della regione, che è Kramatorsk. La conquista di tale città si configura quindi come obiettivo fondamentale dei russi e centro di gravità della prossima battaglia: se i russi riuscissero a conquistarla potrebbero reclamare la vittoria che gli occorre per poter sedere ad un tavolo della pace; se la resistenza ucraina dovesse risultare impenetrabile, saremmo di fronte ad una seconda vittoria difensiva del governo di Kyiv che rimarrebbe in possesso di un settore importante della regione contesa.

Se il possesso dell’area intorno a Kramatorsk definirà la vittoria limitata dell’uno o dell’altro contendente, rimane da definire in cosa consisterebbe una completa vittoria ucraina. Si tratta di un esito fino a poche settimane fa assolutamente impensabile, ma ora non più da escludere dopo la battaglia di Kyiv e l’innesto del meccanismo del “momentum” a sfavore dei russi. Se l’offensiva nel Donbass si risolvesse in distruzioni di larga portata accompagnate solo da avanzate limitate, con perdite crescenti e sempre più evidenti alla stessa opinione pubblica russa, lo scivolamento lungo il piano inclinato dell’Armata russa diventerebbe inarrestabile e il morale dell’esercito potrebbe collassare.

In caso di crollo del morale, non solo l’offensiva si arenerebbe prima di raggiungere Kramatorsk, ma le unità russe perderebbero del tutto la motivazione a combattere per una leadership e una causa che chiaramente non avrebbero più il loro pieno sostegno. Gli ucraini potrebbero allora contrattaccare con successo e ricacciare gli invasori non solo dai territori occupati a febbraio, ma anche da quelli perduti nel 2014, penetrando nel Donbass e in Crimea e portando la guerra fin nel territorio russo come già avvenuto con l’incursione su Belgorod. In questo caso il nazionalismo ucraino, alimentato dalla vittoria, diverrebbe incontenibile mentre le paure esistenziali del regime russo diventerebbero una realtà capace di scatenare un’escalation nucleare. Una prospettiva decisamente non gradita in Occidente.

Gli esiti con la vittoria totale di una delle due parti sono uno ormai impossibile e l’altro altamente improbabile. Rimangono quelli del successo limitato di una delle due. In questo caso la variabile più evidente è rappresentata dall’intervento occidentale. Un intervento militare diretto nelle presenti condizioni provocherebbe automaticamente l’esito della vittoria totale ucraina, e quindi è da escludere a priori. Rimangono quindi sul tavolo tutte le opzioni di intervento indiretto o economico-diplomatico a disposizione di USA ed EU per ottenere l’esito più favorevole desiderato, che è chiaramente quello di un successo limitato ucraino.

Le sanzioni economiche, la pressione e l’isolamento diplomatico, la fornitura di armi e informazioni agli ucraini sono tutte forme di sostegno occidentale che hanno fortemente rafforzato la capacità ucraina di resistere all’invasione. Il loro dosaggio oculato e coordinato fornisce all’Occidente la capacità di influire in maniera determinante sull’esito di un conflitto del quale però non si desidera né un esito troppo netto, né un prolungamento indefinito: solo una conclusione in tempi brevi e con esito limitato, possibilmente a favore di Kyiv, è accettabile per l’America e soprattutto per l’Europa. La gestione finora avvenuta del conflitto da parte occidentale rispecchia questa complessa necessità, ma contrasta fortemente con i sentimenti di larga parte dell’opinione pubblica, specialmente in Italia.

Da un lato gli agenti e gli estimatori di Putin, e tutti coloro che sono stati influenzati dalla sua propaganda, reclamano la fine dell’interferenza occidentale; dall’altro i crociati della democrazia vedono l’opportunità di abbattere un dittatore e inneggiano ad un intervento diretto a prescindere dai rischi di escalation. In mezzo ci sono coloro che – spaventati proprio dal rischio di un’escalation – si appellano alla pace ad ogni costo, indipendentemente dalle conseguenze che questa potrebbe portare se conclusa a vantaggio della Russia. Per fortuna, rimane una maggioranza a favore dell’attuale strategia occidentale di intervento indiretto per orientare il conflitto verso l’unico esito positivo possibile dal punto di vista occidentale, europeo e quindi anche italiano.

La gestione di questa strategia è estremamente complessa, e solo il tempo dirà se sia destinata o meno al successo. Questa richiede la neutralizzazione della pesantissima macchina bellica e la lenta penetrazione dell’opinione pubblica russe, e il contemporaneo sostegno delle forze armate, delle istituzioni e della popolazione ucraine, tutte dosate in modo corretto per ottenere il risultato desiderato. Nel contempo però i danni collaterali si moltiplicano, influenzando a loro volta la nostra opinione pubblica già bersaglio delle opposte propagande dei contendenti. Siamo decisamente di fronte ad una delle sfide più grandi mai affrontate dall’Occidente; per l’Europa, è una vera e propria prova di maturità.

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