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Come abbiamo visto esistono ancora tre esiti possibili del conflitto, solo uno dei quali è positivo per l’Occidente: quello di una vittoria limitata dell’Ucraina. Tanto la vittoria limitata di Putin quanto la vittoria totale di Zelensky sono infatti indesiderabili per opposte ragioni, in quanto entrambi ci lascerebbero alle prese con personaggi esageratamente rafforzati e imbevuti di ambizioni eccessive e pericolosissime.

Per questa ragione l’Occidente si sta impegnando in un gioco estremamente complesso e sofisticato, nel quale il gioco dele parti ed il dosaggio dinamico di incentivi e di spinte è mirato a neutralizzare le ambizioni russe senza mettere a rischio la Russia stessa, e a preservare indipendenza e integrità dell’Ucraina senza però consentirle di vendicarsi per l’aggressione subita. La ricerca, quindi, è per un equilibrio in cui entrambi i contendenti accettino di arrestare i combattimenti nel timore di un peggioramento ulteriore della rispettiva situazione.

Il problema è che anche l’equilibrio può essere raggiunto ad uno stadio che per l’Occidente rischia di non essere affatto conveniente. Vediamo come.

Dall’analisi già effettuata, abbiamo visto come la nuova battaglia per il Donbass, che i russi scateneranno appena crederanno di aver raggiunto un equilibrio accettabile fra forze raggruppate dalla battaglia precedente e sostegno logistico soddisfacente, avrà come centro di gravità la località di Kramatorsk: la città più nord-occidentale della zona ancora in mano ucraina, senza la quale Putin non potrà dire di aver “liberato” almeno la regione contesa se non l’intera Ucraina dal “rischio nazista”; città sulla quale convergono le linee di comunicazione e intorno alla quale il fronte disegna attualmente un lungo arco.

La caratteristica delle “seconde battaglie” dopo un’offensiva a tutto campo che non ha raggiunto i suoi obiettivi, è il restringimento del fronte di attacco dovuto all’insufficienza delle forze e alla necessità di concentrare gli sforzi: è quanto accadde durante la campagna di Russia, dove dopo la mancata presa di Mosca la prima estate, i tedeschi si concentrarono solo nel sud durante la seconda, finendo intrappolati a Stalingrado. Il problema, infatti, è che se gli attaccanti restringono il fronte, i difensori possono dare altrettanto concentrando anche le loro forze per la difesa del settore decisivo. L’intento degli ucraini, infatti, sarà probabilmente frenare e logorare i russi durante la loro avanzata, infliggendo loro perdite tali che quando arriveranno davanti all’obiettivo finale ben fortificato non avranno più la forza di espugnarlo. Di contro i russi cercheranno di sfruttare la loro tremenda potenza di fuoco (almeno fintanto che la loro logistica gli consentirà di mantenerla) per dissanguare gli avversari durante la loro azione di frenaggio davanti alla città.

Nel post precedente abbiamo visto come l’esito della battaglia sarà probabilmente assegnato dal possesso di Kramatorsk al termine del combattimento. Quello che non abbiamo specificato è il fattore tempo. Infatti se la battaglia si trascinasse troppo a lungo, l’esito potrebbe non essere chiaro per un periodo davvero eccessivo. Esiste in fatti un precedente non troppo distante nel tempo. La guerra Iran-Iraq, e in particolare la sua interminabile seconda fase, durata sette anni, incentrata nell’interminabile assalto iraniano alla città di Bassora. Quella guerra fu giustamente definita “una Prima Guerra mondiale combattuta con le armi della Terza”: un massacro interminabile segnato da un uso sostanzialmente inetto delle armi sofisticate fornite dalle grandi potenze ai contendenti. Una volta mobilitate le sue forze, l’Iran era numericamente molto superiore al suo avversario, ma insistendo caparbiamente nella sua offensiva sempre nello stesso punto a causa dell’ostinazione dell’Ayatollah Khomeini, disperse le sue energie in un’avanzata lentissima e sanguinosa che non raggiunse mai l’obiettivo finale. Alla fine, riequipaggiato dall’Occidente, l’Iraq sferrò poi una controffensiva rapida e bruciante che costrinse Khomeini ad “ingoiare l’amaro calice (come disse lui stesso)” ed accettare un armistizio favorevole ai suoi nemici. Il risultato fu un Iraq esageratamente esaltato che passò ad invadere il Kuwait…

L’analogia è ovvia: se la Russia riuscisse ad avanzare abbastanza fino a raggiungere Kramatorsk senza però poterla tagliare completamente fuori, la “Stalingrado ucraina” potrebbe resistere indefinitamente anche se totalmente distrutta, come accadde nel 2014 per l’aeroporto di Donetsk. Gli ucraini sostenuti dall’Occidente non cederebbero, ma se i russi riuscissero a mantenere un flusso logistico accettabile potrebbero non cessare i loro sforzi, e il conflitto rischierebbe di cristallizzarsi prolungandosi indefinitamente. La ricostruzione dell’Ucraina e la sua integrazione nell’Occidente non potrebbero nemmeno cominciare, lo stillicidio di morti e distruzione proseguirebbe per mesi ed anni con rigurgiti improvvisi e finte tregue magari anche prolungate ed esasperanti, e l’economia russa si deteriorerebbe inesorabilmente fino a compromettere le basi stesse del sistema-paese, portando ad un “rischio esistenziale” anche in assenza di una chiara sconfitta militare.

Una situazione destabilizzante e sicuramente non gradita a nessuno se non – forse – alla Cina.

Un altro esempio storico, però completamente opposto, è la guerra del Kippur del 1973, e in particolare la campagna sul canale di Suez. L’offensiva iniziale egiziana, dovuta fondamentalmente all’imperativo politico di dimostrare una capacità militare autonoma di riconquistare i territori perditi, ottenne un successo iniziale e si arenò poi per motivi logistici. Israele contrattaccò in un altro settore, compromettendo completamente la situazione logistica avversaria, ma invece di puntare alla distruzione del nemico accettò un armistizio “alla pari”, che alla lunga garantì la sicurezza di Israele sul fronte egiziano fino ad oggi. Il tutto fu ottenuto in pochi giorni di combattimenti ad altissima intensità.

La battaglia di Kramatorsk – comunque vada – si collocherà da qualche parte fra questi due estremi. L’Occidente si sforzerà di far pendere la bilancia dalla parte ucraina non solo in modo graduale e limitato, ma anche in tempi ragionevolmente brevi. Per ottenere questo, il coordinamento fra i governi e le organizzazioni internazionali sarà essenziale, così come il supporto dell’opinione pubblica.

Se avremo successo, forse non solo riusciremo a preservare il futuro democratico dell’Ucraina, ma anche a salvare l’orso Vladimiro da sé stesso…