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Notizia ucraina di oggi: “Distrutti tre carri armati nemici nel Donbass…” Notizia russa: “Distrutto un gruppo nazionalista insieme a due pezzi d’equipaggiamento…” In un conflitto ad alta intensità come quello in corso in Ucraina, si tratta di episodi assolutamente irrilevanti dato il numero di perdite inflitte mediamente ogni giorno dall’inizio della guerra: praticamente l’equivalente di un “Oggi non è successo niente”, analogo al più famoso “Niente di nuovo sul fronte occidentale”. Ma naturalmente questo non è possibile durante un conflitto moderno, che, come abbiamo visto, si combatte nel reame dell’informazione con un’intensità quasi pari a quella del campo di battaglia.

La battaglia può languire nel Donbass mentre i russi cercano di raccogliere le forze necessarie per tentare una nuova spallata e gli ucraini scavano trincee per resistervi, ma la lotta per accaparrarsi o mantenere la simpatia dell’opinione pubblica non può conoscere soste. Deve trovare nuovi spunti per mordere l’avversario, e nel contempo alimentare passioni già scatenate in precedenza, sparare nuovi titoli ad effetto capaci di annullare nell’immaginario della gente risultati effettivamente conseguiti sul campo. Non importa se si tratti di titoli relativi a fatti veri o inventati, rilevanti o privi di significato: perché la propaganda non è informazione. La propaganda è mistificazione di fatti reali – a volte perfino invenzione – capace di renderli idonei a sostenere un messaggio ben preciso.

Non c’è niente di illegale o di nuovo in tutto questo: si è sempre fatto in guerra, e sempre si farà. Il popolo deve essere confortato e i militari spinti a credere nella vittoria, e analogamente gli avversari devono essere depressi e spaventati, mentre i neutrali devono essere attratti alla propria causa. Quello che è cambiato è il volume e il mezzo con cui la propaganda viene diffusa. Un volume ormai assordante e un mezzo pervasivo che ci entra in casa anche se non lo vogliamo: l’informazione digitale. Siccome ormai l’informazione digitale che funge da vettore ai social media è diventata così dominante, la propaganda si è concentrata su di essi. La sempre più scarsa qualità dell’informazione veicolata dai media mainstream, accompagnata da un’accorta propaganda volta a screditarli, ha fatto sì che sempre più larghi starti di popolazione si rivolgano proprio ai social per l’aggiornamento; la vasta disponibilità di offerta informativa in questo ambito a sua volta la rende difficilmente controllabile e facilmente infiltrabile da parte della propaganda stessa, che infatti la inonda di informazioni false, tendenziose o esageratamente amplificate. Sta al lettore filtrare tali informazioni, ma spesso questi non dispone dei mezzi necessari per effettuare tale filtraggio, e finisce con il dare credito a quelle più confacenti alle sue idee, oppure semplicemente a quelle più “colorate”, indipendentemente dalla loro plausibilità.

La cosa che più mi colpisce di questo fenomeno non è tanto la credulità della gente, in quanto mi rendo conto che larga parte delle notizie mainstream possono essere altrettanto fuorvianti, quanto la mancanza di proporzione che spesso osservo specialmente nei commenti degli utenti, che trovo rispecchi una sostanziale mancanza di comprensione dei problemi. Mi colpisce soprattutto perché la propaganda di parte la sfrutta largamente per i suoi fini.

Un esempio eclatante sono i bombardamenti dei centri abitati. Il caso del famoso missile supposto ucraino abbattuto dalla contraerea russa sopra Donetsk, e che avrebbe ucciso una dozzina di civili in attesa al bancomat. L’episodio non è mai stato accertato, ma prendiamolo per buono: è stato amplificato a dismisura per settimane, contrapponendolo alle dozzine di analoghi missili russi che piovevano quotidianamente sulle città ucraine, come se un solo missile – di cui per di più si ignorano sia la reale provenienza che soprattutto il vero bersaglio – valesse quanto dozzine di missili di cui invece esiste la certezza tanto della provenienza che del bersaglio voluto. E questo era esattamente ciò che la propaganda russa voleva “vendere”: gli ucraini sarebbero altrettanto criminali dei russi.

Allo stesso modo, il video con la supposta “gambizzazione” dei prigionieri russi e quello con la (più probabile e quasi accertata) esecuzione di un ferito da parte di miliziani ucraini sono contrapposti alle novecento vittime civili rinvenute finora nel solo oblast di Kyiv e sotto esame del Tribunale Penale Internazionale: un morto e quattro feriti militari contrapposti a novecento vittime civili, di nuovo come se avessero lo stesso valore. Intendiamoci: sempre di crimini si tratta. Ma il messaggio che passa è l’equiparazione fra i due contendenti; equiparazione che non esiste in quanto non solo uno è l’aggressore e l’altro l’aggredito, ma soprattutto perché per due crimini bastano due criminali, mentre per novecento occorre un’organizzazione e una volontà decisionale ben precise a livello di governo. Il generale Patton fece fucilare due prigionieri di guerra italiani perché “probabilmente fascisti” in Sicilia nel 1943, ma se questo fa di Patton un probabile criminale di guerra, non equipara gli americani ai nazisti responsabili dell’Olocausto.

Naturalmente esiste il rovescio della medaglia: anche gli ucraini esagerano largamente nella loro narrazione gonfiando le perdite russe e minimizzando le proprie, o moltiplicando il numero dei loro ospedali pediatrici bombardati ogni giorno. Le performances del presidente Zelensky – forte del suo passato di attore – sono spesso esageratamente enfatiche e anche di cattivo gusto quando attaccano chi lo aiuta ma non abbastanza… Ma è un fatto che chi commenta “L’ex-attore è così antipatico che mi rende simpatico Putin” si esibisce in un paragone davvero insostenibile: mentre Zelensky è magari antipatico nelle sue esibizioni, ma è pur sempre il capo di una Nazione in guerra sottoposta ad un’invasione violenta e  quindi soggetto ad una pressione psicologica piuttosto consistente, l’altro è un dittatore che ha freddamente deciso una guerra e che quotidianamente ordina e avalla la distruzione di città e lo sterminio di civili colpevoli di non voler essere russi.

Il discorso poi si allarga fino all’Occidente, dove i crimini di Putin vengono paragonati ai problemi di meteorismo di Biden o ai supposti interessi economici di suo figlio cinquantenne: di nuovo, come se le responsabilità per la morte di migliaia di persone potessero essere paragonate a fenomeni di flautolenza o a speculazioni commerciali peraltro non dimostrate. Per non parlare di Draghi, che ovviamente essendo un banchiere è “antipatico” e pur se si comporta esattamente come tutti gli altri capi di governo occidentali, a differenza degli altri lui sarebbe “sottomesso” a chissà quali poteri oscuri e quindi sarebbe peggiore o almeno paragonabile nei danni che apporta all’umanità a chi tutta questa crisi l’ha pianificata e freddamente iniziata.

Questa incongruenza di giudizio è chiaramente indirizzata da una propaganda disegnata apposta per influenzare le opinioni di persone che della guerra non vorrebbero neppure sentire parlare. Il fastidio per esservi seppure lontanamente coinvolti – in confronto con chi la guerra la sta vivendo e ne sta morendo – indispone molti non nei confronti dei responsabili della guerra stessa, ma di chi secondo loro avrebbe dovuto evitare di far loro vedere anche solo i suoi riflessi.

L’orso Vladimiro fa uscire il peggio da ciascuno di noi: non solo dai miliziani di entrambe le parti che si macchiano di crimini di guerra, ma anche da coloro che si limitano a leggere di tali crimini e reagiscono con egoismo e perfino con viltà.