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Quasi a riprova di quanto dicevamo ieri, gli Stati Uniti hanno respinto la richiesta ucraina di ricevere lanciarazzi multipli americani MLRS, capaci non solo di fornire un fuoco di appoggio devastante alle operazioni, ma anche di colpire molto in profondità, e quindi di minacciare direttamente il territorio russo.

Mentre il tiro di precisione di obici quali i famosi 155mm che hanno colpito i ponti a sud di Belgorod o i PzH-2000 semoventi tedeschi destinati a moltiplicare la potenza di fuoco delle brigate corazzate ucraine sul piano strettamente tattico, sistemi d’arma come gli MLRS (in dotazione peraltro anche all’Italia) potrebbero alterare la situazione militare sul piano operativo e di campagna (superiore cioè al livello puramente tattico), provocando una escalation  non nucleare ma certamente destinata ad irrigidire ulteriormente la disponibilità a trattare da parte russa. Il rifiuto americano è quindi indicativo di come la posizione americana rimanga quella discussa ieri, rivolta cioè a sconfiggere la Russia sul piano tattico senza imporle un’umiliazione tale da impedirle di negoziare o addirittura di sgretolarne il tessuto nazionale.

Dobbiamo renderci conto che la posizione negoziale russa è estremamente difficile. Putin ha iniziato la guerra nella convinzione di detenere una superiorità militare assoluta sulla sua controparte ucraina e di poter concludere la sua “Operazione Militare Speciale” con un successo rapido e poco costoso. Ora si trova invischiato in un conflitto convenzionale ad alta intensità che non riesce e che con ogni probabilità ormai non può più vincere. Avendo iniziato la guerra in una posizione di preminenza atteggiandosi a superpotenza, è molto difficile scendere a patti con il nemico parlandoci da pari a pari. E’ per questo che ora l’enfasi della comunicazione del Cremlino è posta sul conflitto “contro la NATO”: in questo modo un dialogo fra pari diventa accettabile.

Anche coinvolgendo formalmente la NATO nel confronto diplomatico però rimane difficile per Putin ridimensionare le sue richieste iniziali alla luce delle perdite subite, che ormai si avvicinano tragicamente ad un terzo delle forze complessivamente impiegate all’inizio della guerra: perdite che oltre ad aver determinato il collasso morale dei combattenti (che alle perdite hanno assistito ad occhio nudo), hanno anche ridimensionato la capacità militare complessiva delle Forze Armate russe. Un esempio significativo sono i missili: dopo averne sparati più di duemila, cominciano a scarseggiare e i russi stanno impiegando ormai versioni già ritirate dal servizio, come gli SS-21 (i famosi “Tochka-B” che affermavano di non avere più), di raggio più limitato e con livello di precisione molto inferiore. Questo significa che un’escalation militare contro la NATO non è solo più semplicemente improbabile: è ormai tecnicamente impossibile. Semplicemente i russi non hanno più né i soldati né le armi per combattere contro di noi… Ne hanno a mala pena abbastanza per difendersi dagli ucraini.

A questo punto è probabile che anche un incredulo Vladimir Putin abbia finalmente afferrato le dimensioni del suo disastro militare in Ucraina, e che il leader russo sia quindi alla ricerca disperata di una via d’uscita dignitosa dalla guerra che lui stesso ha iniziato in maniera tanto scriteriata. Finora, infatti, è stato lui ad impedire qualsiasi serio sviluppo negoziale, ancorato com’è al dogma del riconoscimento ucraino della sovranità russa su Crimea e Donbass. Riconoscimento che ovviamente la parte ucraina non concederà mai, ed è per questa ragione che la diplomazia russa insisteva come fossero gli ucraini a non voler negoziare: ovviamente, su quelle basi, per Kyiv è impossibile anche solo sedersi a parlare. Un governo che accettasse di discutere concessioni territoriali mentre i suoi soldati stanno vincendo sul campo non durerebbe a lungo: verrebbe rovesciato in Parlamento da una maggioranza ormai accesa di fervore patriottico.

Ormai nei circoli militari della NATO si esaminano apertamente le opzioni ucraine per l’espulsione completa dei russi dal loro territorio, comprese le operazioni necessarie per la liberazione dell’intero Donbass e per la riconquista della Crimea. Non si tratta di eventualità imminenti, ma se il conflitto si dovesse trascinare per un altro anno diventerebbero assolutamente fattibili dal punto di vista militare. Il sostegno occidentale illimitato nella fornitura di armi leggere (equipaggiamenti per fanteria e missili controcarri e contraerei) e quello assai più ridotto in quanto ad armi pesanti (carri armati e artiglierie) si combina ad una mobilitazione generale ucraina ormai pienamente in atto che può facilmente portare l’esercito di Zelensky a schierare entro tre mesi quasi un milione di soldati equipaggiati alla leggera ma estremamente motivati e ben guidati.

Dall’altra parte la Russia non ha mai ordinato la mobilitazione generale, convinta com’era di poter vincere facilmente con il suo esercito stanziale. Inoltre come già rilevato settimane fa, la Russia non dispone di riserve significative di materiale bellico utilizzabile per armare le forze eventualmente mobilitate, in quanto i giganteschi magazzini di materiale sovietico non sono stati manutenzionati ormai per oltre vent’anni e sono pieni solo di rottami arrugginiti. L’industria bellica russa è ferma a causa delle sanzioni occidentali, e a differenza del suo rivale Putin non dispone di amici ed alleati disposti a fornirgli quantitativi illimitati di equipaggiamento per fanteria, e men che meno materiale pesante.

Questa situazione non lascia scampo a Putin: se il conflitto si prolungherà indefinitamente, l’Ucraina alla fine si riprenderà tutto con la forza, e l’umiliazione sarà completa. Nel frattempo l’economia di entrambe le Nazioni sarà distrutta, ma l’Ucraina sopravvivrà con l’aiuto della EU al semplice costo di una fastidiosa recessione, mentre la Russia rischierà di crollare completamente e di essere comprata al banco dei pegni da una Cina poco ben disposta a fare sconti a un “amico” caduto in disgrazia. Con la carta nucleare resa non giocabile a meno di un’invasione ucraina della Russia stessa (i russi non si suicideranno per salvare l’orgoglio del loro Zar), Putin rimane senza altra opzione che lasciar cadere dall’alto la disponibilità a trattare adesso, finché è possibile, e quando può vantare la vittoria pirrica di Mariupol.

Questa breve finestra di trattative che si sta timidamente aprendo ora e che è contrassegnata dalla sovraesposizione dei media russi sulla resa dei difensori dell’Azovstal (rappresentata come una vittoria epocale in confronto allo scarso rilievo offerto all’offensiva bloccata nel Donbass), dovrà essere sostenuta da un’accorta azione occidentale per contenere le eventuali eccessive ambizioni ucraine gestendo in maniera oculata il sostegno americano all’esercito e quello europeo all’economia dell’Ucraina. In questo contesto si vanno a collocare il rifiuto del Pentagono a fornire gli MLRS e il viaggio di Draghi a Washington.

Rimane da dire che la prospettiva di un conflitto prolungato sembra favorire più Kyiv di Mosca dal punto di vista strettamente militare, ma esistono altri aspetti di cui tenere conto nella gestione occidentale del conflitto. Innanzitutto la vera forza dell’Ucraina, in questo momento, è rappresentata dal morale del suo esercito; questo morale sostiene a sua volta quello del fronte interno ucraino, che deve affrontare una situazione gravissima, con l’economia al collasso sostenuta a fatica dagli aiuti europei e un’infrastruttura civile devastata che richiederà decenni per essere ricostruita. Se la situazione militare dovesse ora ristagnare per mesi, deprimendo il morale di soldati e comuni cittadini, il morale potrebbe cedere e tutto il vantaggio accumulato andrebbe perduto. Se anche dovesse tenere, potrebbe cedere quello delle popolazioni occidentali, che dovrebbero affrontare una recessione per sostenere una guerra che non sentono veramente propria. Infine, esiste il rischio concreto di un collasso della Russia stessa, che porterebbe ad un’instabilità globale che nessuno desidera.

Di fronte a tutti questi rischi, l’idea di consentire a Zelensky di “stravincere” appare sempre meno sensata, e l’obiettivo originario di limitarsi ad aiutarlo a difendere l’integrità territoriale del suo Paese rimane il più congruo alla situazione: l’orso Vladimiro va domato, non abbattuto… Almeno, non da noi.