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Dopo gli ultimi articoli in cui ho cercato di descrivere la situazione di degrado in cui versano al momentole Forze Armate russe, mi aspetto di sentirmi chiedere la domanda fatidica: “Ma se i russi sono messi così male, come mai gli ucraini non sono già a Mosca?”, con il sottinteso che ovviamente i miei articoli siano la solita propaganda “atlantista”.

Il fatto è che non si tratta affatto di un commento sciocco; se lo si analizza serenamente, in realtà mette a fuoco un problema di fondo che la maggior parte dell’opinione pubblica non afferra e che gli addetti ai lavori tendono a non spiegare in quanto per loro la spiegazione appare ovvia.

Mi riferisco alla dimensione temporale di un conflitto armato.

 

La guerra prende il suo tempo.

Leggendo svogliatamente la storia sui testi scolastici tende a sfuggire come conflitti che spesso riassumiamo mentalmente in poche frasi in realtà durano maledettamente a lungo. Se il 24 febbraio invece della Guerra di Ucraina fosse cominciata la II Guerra Mondiale, oggi dopo dieci mesi saremmo nel mezzo della Campagna di Francia e Mussolini non avrebbe ancora neppure dichiarato guerra: mancherebbero ben cinque lunghissimi anni alla fine del conflitto più tremendo della storia.

È sempre stato così: la gente dimentica che quando Annibale invase l’Italia, ci rimase oltre vent’anni. Quando Roma vinse a Zama la battaglia decisiva, fra i suoi soldati ce n’erano alcuni che erano nati già a guerra iniziata.

Dieci mesi di guerra paiono un’eternità a chi si trova a viverla, ma in realtà sono un’inezia in un conflitto simmetrico. Vogliamo ricordare la “Guerra dei Cento Anni”? C’è un motivo se si chiama così…

 

L’evoluzione tecnologica e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa hanno fatto sì che la guerra, anche se ci partecipiamo solo indirettamente, arrivi molto vicina alla nostra percezione, e questo è un bene perché ci rende consapevoli; però ci rende anche impazienti, e questo conduce ad aspettative irragionevoli.

La guerra non ci piace, e vorremmo finisse in fretta. C’è chi ne auspica una fine giusta, e c’è anche chi vuole che finisca subito, indipendentemente dal “come”.

Senza entrare in un giudizio etico sul diverso modo di vederla, un po’ tutti i differenti gruppi che seguono in maniera più o meno partigiana l’andamento della guerra sono accomunati da un punto: l’illusione che possa concludersi in fretta, riportandoli quasi magicamente alla loro vita “di prima”.

Si tratta – appunto – di un’illusione.

 

Probabilmente l’illusione è alimentata dall’esperienza relativamente recente di conflitti che sono durati abbastanza poco, come le guerre arabo-israeliane, quella nelle Falklands o i conflitti nel Golfo… Ma si è trattato di casi in cui la differenza tecnologica fra i contendenti era tale da non lasciare scampo a una delle due parti, e pur essendo classificabili come “ad alta intensità”, non si è trattato di conflitti “simmetrici”, fra avversari alla pari.

Ci sono anche stati conflitti ad alta intensità che sono durati a lungo, come la Corea o la guerra fra Iran e Iraq, ma forse quelli in Europa sono stati vissuti come distanti e poco coinvolgenti… Ci sono stati il Vietnam e l’Afghanistan, durati rispettivamente dieci e vent’anni, ma in entrambi i casi si è trattato di conflitti asimmetrici a bassa intensità.

L’Ucraina è diversa: qui la guerra è ad intensità maledettamente alta, ed è assolutamente simmetrica, fra due avversari dotati di armi avanzate, di elevata capacità e con risorse di lungo termine, per cui non è dato il caso che una delle due parti crolli per puro esaurimento. Si tratta di un conflitto che coinvolge direttamente una “superpotenza”, quindi non può concludersi con un accordo “fra Grandi” alle spalle dei contendenti… Ma soprattutto non è uno scontro di confine con motivazioni limitate, bensì uno scontro totale, dove i Governi contrapposti si giocano il futuro delle rispettive Nazioni e quindi non sono disposti a recedere dai loro intenti fintanto che vedono la possibilità di un successo sul campo.

 

È su quest’ultimo punto che si gioca la trappola psicologica dove il pubblico che assiste alla tragedia ritiene di saperne più degli attori protagonisti ed emette sentenze sbrigative secondo cui una o l’altra parte “non può” vincere, oppure che un conflitto prolungato “inevitabilmente” porterà allo scontro nucleare.

Nella vulgata non solo dei partigiani nel parterre, ma anche in quella di molti commentatori seduti in tribuna subentrano veri e propri “dogmi” attorno ai quali costruiscono le loro teorie secondo cui il conflitto si potrebbe concludere in un modo solo (quello suggerito da loro), oppure trasformarsi in un Moloch destinato a divorare l’Universo intero…

 

La guerra fra Nazioni evolute è un fenomeno estremamente complesso che mette in moto energie immense e risorse incommensurabili: chiunque abbia un minimo di studi scientifici sa che laddove sono in campo masse ed energie particolarmente notevoli, generalmente si devono considerare spazi e soprattutto tempi altrettanto ingenti.

La guerra non è un fenomeno scientifico: è un fenomeno umano, probabilmente il più complesso e cataclismico di tutti, ed è quindi particolarmente difficile da analizzare. Ma è comunque un fenomeno transitorio, con regole intricate ma pur sempre leggibili. Quando ci troviamo immersi al suo interno ci appare come un caso unico, completamente diverso da tutti i precedenti, e ci illudiamo che le regole con cui affrontarlo possano differire da quelle di tutti gli altri casi precedenti… Ma in realtà cambiano solo le forme del conflitto, mentre i fondamentali rimangono sempre gli stessi.

Due potenziali militari contrapposti si scontrano fra loro, e se uno dei due non si frantuma al primo impatto cominciano ad erodersi a vicenda mentre ciascun sistema-Nazione cerca di alimentare il proprio potenziale in maniera da mantenerlo e se possibile anche di accrescerlo per sostenere lo scontro.

 

Si tratta di un processo lungo, specialmente quando i due sistemi-Nazione dimostrano capacità elevate di resilienza. Augurarsi una rapida conclusione del conflitto è del tutto umano, ma anche assolutamente irragionevole: non esiste un modo di interromperlo perché entrambe le parti in conflitto ritengono di poter ottenere un maggiore vantaggio dalla prosecuzione del conflitto stesso che non da una sua interruzione, e non ha nessuna importanza quel che possono pensarne coloro che siedono fra il pubblico.

Oggettivamente, entrambi i protagonisti hanno ragione.

La curva del Momentum indica chiaramente che così come sono poste le cose, l’Ucraina ha un vantaggio militare che è destinata a mantenere e che A LUNGO TERMINE la condurrà al ripristino della sua integrità territoriale, che è il suo scopo; è pertanto irragionevole aspettarsi che possa accettare di fermarsi rinunciando a qualcosa che ritiene irrinunciabile e che per di più è alla sua portata, indipendentemente dai dogmi dei sedicenti esperti che liquidano tale eventualità come “impossibile”.

Nel contempo però la Russia riconosce che l’attuale tracciato della curva del Momentum dipende dal sostegno attivo che l’Occidente assicura all’Ucraina: se tale sostegno venisse a mancare, la curva cambierebbe di segno e il raggiungimento degli obbiettivi egemonici del Regime russo tornerebbe ad essere una prospettiva realistica, laddove il loro abbandono a questo punto comporterebbe ancor più realisticamente la caduta del Regime stesso.

 

Invocare la pace è imano, ma a questo punto è anche irragionevole: per volere la pace occorre essere in due, e nessuno dei due contendenti ha interesse a una pace nelle presenti condizioni; al contrario, entrambi ritengono possibile raggiungerla attraverso il successo militare, e quindi continueranno ad andare avanti.

Nelle condizioni attuali, il potenziale militare dell’orso Vladimiro continuerà a logorarsi lentamente ma inesorabilmente, mentre quello ucraino continuerà a crescere fino a che sarà in grado di sopraffare l’avversario e ripristinare la propria integrità territoriale.

Un cambio di condizioni, con la sospensione del sostegno occidentale, invertirebbe il processo in atto, portando l’orso a prevalere.

L’unica alternativa possibile è questa.

 

Orio Giorgio Stirpe