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Il Segretario Generale dell’ONU Guterres e il Presidente della Turchia Erdogan sono probabilmente i due protagonisti della politica mondiale più “neutrali” che ci siano in giro rispetto alla guerra in Ucraina. Non lo sono tanto per bontà d’animo quanto per convenienza istituzionale: le Nazioni Unite, completamente prive di un proprio potere di coercizione, sono obbligate ad un ruolo di mediazione indipendentemente dall’opinione prevalente della Grande Assemblea, mentre la Turchia è una Potenza illiberale in crescita politica e difficoltà economica diretta da un autocrate deciso a trarre il massimo possibile vantaggio dalla situazione corrente.

Questi due personaggi si sono spesi con convinzione per addivenire alla firma dell’accordo sul grano ucraino e sulla sua esportazione attraverso le maglie del conflitto, e hanno celebrato tale firma come un grosso successo.
L’accordo prevede fra l’altro che “la Federazione Russa si impegna a facilitare l’esportazione libera di cibo, olio e fertilizzanti” a partire da una serie di porti fra i quali il principale fra quelli indicati esplicitamente è quello di Odesa.
Poche ore dopo la firma di tale accordo, quattro missili navali da crociera – apparentemente del tipo “Kalibr” – hanno attaccato il porto di Odesa: due sono stati intercettati e altri due hanno colpito una stazione di pompaggio e alcune imbarcazioni all’attracco.
La Turchia ha subito riferito come Mosca abbia immediatamente dichiarato di non avere niente a che fare con l’attacco, e che questo costituiva una “provocazione”.
Dodici ore più tardi, Maria Zacharova confermava invece che si trattava in effetti di un attacco russo rivolto ad “installazioni militari” del porto di Odesa.
Subito dopo, è iniziata la danza delle dichiarazioni politiche e diplomatiche che tutti conosciamo, e che in realtà lasciano il tempo che trovano.
Atteniamoci ai fatti.

Il primo punto è che la Russia ha firmato l’accordo: perché lo ha fatto, se aveva l’intenzione di non rispettarlo? Intendiamoci, la Russia (anche se lo nega) è un Paese in guerra, e il blocco delle esportazioni del suo nemico è legittimo e comprensibile, quali che siano le conseguenze per il resto del mondo. Quindi, perché firmarlo con l’intenzione di infrangerlo subito?
L’accordo naturalmente prevede(va) una contropartita: la possibilità da parte russa di esportare a sua volta alimentari e fertilizzanti in deroga alle sanzioni occidentali in cambio di contante, che evidentemente alla Russia occorre disperatamente. Il che a sua volta costituisce una dimostrazione di come le sanzioni mordano, eccome.
Nel contempo però, come sempre accade negli accordi internazionali, Mosca non ha la minima intenzione di rispettarli, se non nell’apparenza e per un breve tempo: Putin non ha intenzione di rallentare il conflitto a meno di una resa ucraina, e sarà il caso di convincersene.

Il secondo punto da considerare è l’attacco in sé. In una fase in cui sappiamo come la Russia sia in crisi di disponibilità di missili di precisione, sferra un attacco con quattro delle sue armi migliori; due missili su quattro sono intercettati dalla difesa contraerea ucraina. Un risultato notevole per una difesa aerea non certo di prima classe, e un risultato mediocre per la seconda potenza militare del mondo. I danni inferti sono l’incendio di alcune navi civili e la distruzione di una stazione di pompaggio, apparentemente con un ferito grave. I danni sono confermati da osservatori indipendenti.
Il totale del danno inflitto è inferiore al valore delle armi impiegate (e spese).
Militarmente, la Russia ha perso quattro “Kalibr” in cambio di una pompa di benzina per navi già immobilizzate: un risultato militare mediocre, assolutamente non comparabile all’esito degli attacchi degli HIMARS ucraini contro i suoi depositi di munizioni.

Il terzo punto da considerare è la ricaduta diplomatica della violazione plateale di un accordo appena firmato. L’effetto più immediato, oltre alla ormai scontata reazione dell’opinione pubblica occidentale, è l’oltraggio inferto ai mediatori; l’ONU non può essere screditata più di tanto, visto che di credito residuo non ne ha molto, ma la Turchia e in particolare Erdogan tendono ad essere piuttosto suscettibili, ed alienarsi i loro favori è pericoloso per chi di amici ormai ne ha pochi.
Erdogan e Putin non sono amici: sono avversari con alcuni elementi in comune. Se l’autocrate turco non ha ancora approfittato delle difficoltà del suo collega russo è unicamente perché ha visto l’opportunità di presentarsi al mondo come Grande Mediatore e quindi di accrescere la propria posizione diplomatica; nel momento in cui decidesse (deciderà) che questa posizione interlocutoria non rende più abbastanza, passerà all’incasso.
L’”incasso”, da parte turca, implica la definitiva risoluzione del conflitto del Nagorno-Karabak a vantaggio dell’alleato azero, il rovesciamento definitivo del regime siriano e la sostituzione dell’influenza russa in Medio Oriente con quella turca: tutte operazioni che l’Occidente potrà tollerare almeno nel breve termine in un’ottica anti-russa, ma che risulteranno disastrose per le popolazioni locali… E per il Cremlino.

Il quarto punto di interesse è lo scollamento della reazione russa al proprio stesso attacco: l’iniziale diniego di responsabilità con i turchi, seguito dalla serena ammissione da parte della Zacharova. Non è un segnale di un coordinamento efficace all’interno del Governo russo: lascia piuttosto intendere come Lavrov non fosse al corrente dell’intenzione di Putin di non rispettare l’accordo, e quindi di come all’interno dell’Amministrazione russa esista un “cerchio di potere” ristretto vicino a Putin che opera in maniera indipendente.
Neanche Hitler diceva tutto al suo Ribbentrop…

L’ultimo punto naturalmente è il più importante: giova alla posizione russa questo concetto di azione? Si tratta di suscitare speranze nell’opinione pubblica internazionale stanca della guerra, e poi affossarle con un atto di violenza bellica apparentemente privo di senso.
Ancora una volta vediamo un obbiettivo politico (colpire il morale della popolazione occidentale) perseguito ad alto prezzo (la credibilità stessa della Russia e dei suoi pochi interlocutori rimasti) ed in contrasto con quelli militari (impiegare i pochi “Kalibr” disponibili in maniera più efficace).
Da un punto di vista occidentale la risposta è chiaramente “No”: non giova. Ma abbiamo visto ormai da tempo che Putin ragiona secondo parametri diversi dai nostri ed in base a valori completamente differenti.

Se quindi le decisioni russe sono assunte in base a parametri decisionali differenti da quelli cui siamo usi a confrontarci noi, i casi sono due: Putin potrebbe aver ordito un grandioso progetto innovativo di cui a noi sfuggono ancora anche gli aspetti più fondamentali, oppure potrebbe aver perso definitivamente lucidità, come già avvenuto con la disastrosa decisione di invadere in base alla convinzione che l’Ucraina non si sarebbe difesa.
In conclusione: l’orso Vladimiro potrebbe essere un genio, oppure un vecchio orso con la mente ormai annebbiata e gli artigli sempre più spuntati.

Orio Giorgio Stirpe