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L’offensiva russa nel Donbass si è infognata come quella su Kyiv, e per lo stesso motivo.

Per condurre un’offensiva corazzata ad alta intensità non bastano schiere di potenti carri armati e intenso fuoco d’artiglieria: occorre una continua alimentazione di carburante, vettovagliamento e soprattutto munizioni per mantenere proprio l’intensità del fuoco di artiglieria. Per assicurare tale alimentazione servono depositi avanzati, colonne di camion e soprattutto strade dove questi camion si possano muovere con continuità in entrambi i sensi di marcia. I depositi avanzati i russi ce li hanno, riforniti per via ferroviaria dal cuore del loro grande Paese, e naturalmente hanno anche i camion. Il problema sono le strade.

Durante l’offensiva su Kyiv l’unica strada per alimentare le due armate che attaccavano da nord la capitale passava attraverso le paludi del Pripjat, la zona contaminata di Chernobyl e metà Bielorussia; non solo era stretta, pericolosa e decisamente troppo lunga, ma era anche costantemente sabotata dai cittadini bielorussi che simpatizzano con gli ucraini.

Ora le distanze si sono molto accorciate, ma i problemi non sono diminuiti. I due centri logistici che alimentano i due gruppi di armate russi (denominati rispettivamente “Fronte” Ovest e “Fronte” Sud) sono rispettivamente Belgorod e Rostov. Mentre Rostov alimenta lo sforzo a sud, e quindi le unità schierate a partire dalla Crimea e nel Donbass meridionale, Belgorod alimenta lo sforzo principale che da Izyum punta su Slaviansk per chiudere da nord il saliente ucraino e catturare Kramatorsk tagliando fuori le unità ucraine schierate più a est nel Donbass settentrionale. Come abbiamo visto lo sforzo a sud è praticamente fermo davanti alle fortificazioni ucraine opposte da otto anni agli autonomisti del Donbass, mentre quello a nord era il più promettente anche se attraversava le paludi del Donec settentrionale.

Lo sforzo da Izyum era difficile da alimentare fin dall’inizio a causa delle dimensioni ridotte delle strade utilizzabili dai russi: la strada principale da Belgorod passa da Kharkiv, che non è mai stata neppure vicina a cadere a dispetto della vicinanza alla frontiera. Ma poco dopo l’inizio dell’offensiva – peraltro piuttosto stentata fin dall’inizio a dispetto dell’enorme volume di fuoco di preparazione – gli ucraini hanno sferrato una serie di contrattacchi locali a partire da Kharkiv, che con il tempo hanno assunto la forma di una vera e propria controffensiva diretta proprio contro il fianco dello sforzo principale russo, e contro il suo sottile corridoio di alimentazione.

Contro ogni previsione, compresa la mia, la controffensiva ucraina ha guadagnato “momentum” ed ha proceduto ben oltre l’iniziale apparente scopo di sbloccare Kharkiv dall’assedio: dopo aver raggiunto la sponda occidentale del fiume Donec, ha iniziato a sfruttare il successo sia a sud che soprattutto a nord del suo tratto inguadabile, incidendo direttamente sul canale logistico che da Belgorod alimenta lo sforzo principale russo da Izyum su Slaviansk. In questo settore in particolare, gli ucraini hanno respinto i russi fin sul confine, arrivando a minacciare direttamente il territorio russo. Valery Gerasimov, sfuggito di un soffio alla distruzione del posto comando che stava ispezionando nella zona, ha dovuto ordinare personalmente una contromanovra: quasi venti degli ottanta BTG impegnati nell’offensiva del Donbass sono stati richiamati d’urgenza per proteggere le retrovie ed evitare l’irruzione degli ucraini in territorio russo.

La contromanovra russa e soprattutto le pressioni occidentali hanno evitato l’umiliazione di un’invasione ucraina della Russia, ma non hanno impedito alle forze di Kyiv di occupare proprio sul confine una posizione di tiro per l’artiglieria dove sono stati schierati per la prima volta gli obici da 155 mm appena arrivati dagli Stati Uniti. L’artiglieria ucraina ha così potuto aprire il fuoco in profondità sul territorio nemico, sparando secondo la dottrina occidentale e non secondo quella ex-sovietica: effettuando cioè tiro di precisione e non di distruzione. Questo tiro di precisione ucraino, effettuato oltre la gittata ordinaria della loro artiglieria e quindi sorprendendo i russi, ha centrato in pieno e completamente distrutto un ponte fondamentale a sud di Belgorod, recidendo praticamente all’origine il flusso dei rifornimenti diretti a Izyum.

Un ponte distrutto nelle retrovie normalmente non costituisce una tragedia: può sempre essere ricostruito dal genio militare. Nel caso specifico però il sito del ponte rimane sotto il tiro dell’artiglieria ucraina, e cercare di ricostruirlo sotto il fuoco è estremamente difficile e pericoloso. Prima di procedere alla ricostruzione, occorrerà sopprimere il fuoco di artiglieria ucraino con un duello cosiddetto di “controbatteria” per il quale però i russi non sono preparati: la loro artiglieria in dotazione alle Brigate ha gittata troppo corta, e quella di supporto generale alle dipendenze delle armate è schierata più a sud per condurre il famoso fuoco di distruzione sul fronte di attacco. Per riportarla a nord occorre non solo ridurre il fuoco sul fronte, ma anche ripercorrere a ritroso le stradine di campagna lungo cui corrono i rifornimenti già strozzati, strangolando ulteriormente il traffico logistico.

Una volta che tale movimento sarà stato eseguito, bisognerà vincere il duello di artiglieria; ma insieme agli obici americani gli ucraini hanno anche ricevuto i radar controfuoco che servono appunto a supportare i duelli di artiglieria, e non è affatto detto che la quantità di fuoco riesca a prevalere sulla precisione di tiro. Senza contare che gli ucraini possono sempre ritirare i loro obici, lasciare che il ponte venga ricostruito, e poi riportarli avanti e distruggerlo di nuovo.

Le alternative alla strada bloccata da Belgorod sono strade ancora più lunghe e strette, paragonabili alle nostre stradine comunali, spesso neppure asfaltate: farle percorrere a migliaia di camion con continuità costituisce uno sforzo tremendo non solo per i camion e per gli autisti, ma anche per le strade stesse, che si deteriorano rapidamente. Si tratta di lunghe tratte di sentieri fra foreste e paludi, con un numero incalcolabile di piccoli ponti costruiti per un traffico leggero, e soggetti a riparazioni continue. Insomma: un incubo; un incubo conseguenza però di una semplice contromanovra ucraina, peraltro abbastanza prevedibile.

Il problema dell’esercito russo è che manovra in maniera estremamente pesante. Segue una pianificazione rigida e metodica che mette in moto quantità immense di uomini, mezzi e materiali: una volta che il movimento è iniziato, diventa difficilissimo arrestarlo, o anche solo cambiarne la direzione. Per questo per i russi diventa difficile rispondere alle iniziative avversarie, quando queste non sono già previste dal piano originario.

Stiamo assistendo allo stesso problema dalla parte opposta del fronte, dove la marina russa continua a subire perdite tremende intorno alla famosa Isola dei Serpenti. Si tratta di un isolotto privo di importanza, occupato per ragioni esclusivamente propagandistiche il primo giorno di guerra: una guerra che si supponeva dover essere brevissima. Ora però la sua guarnigione deve essere rifornita; ma l’isola è a tiro dei missili contraerei ucraini, e mandare elicotteri dalla Crimea è un suicidio. Bisogna quindi mandare navi… Ma gli ucraini hanno anche missili anti-nave, e si è visto come li sappiano anche usare. Ora l’alternativa per i russi sull’isola è fra continuare a perdere navi oppure arrendersi per fame: in ogni caso una situazione umiliante.

Insomma: i russi soffrono terribilmente quando perdono l’iniziativa e i loro avversari glie l’hanno ormai sottratta. E’ quello che succede quando avviene la “culmination”, e il potenziale offensivo si esaurisce. I BTG che attaccano Slaviansk ormai combattono in apnea, e dovranno presto fermarsi; lo stesso vale per l’Isola dei Serpenti. Presto l’iniziativa sarà tutta in mano agli ucraini.

Ieri sera, a Porta a Porta, Zelensky ha detto che non è compito suo salvare la faccia a Putin: il suo compito è difendere l’Ucraina.

A questo punto, chi salverà la faccia all’orso Vladimiro?