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Valery Gerasimov è ricomparso, finalmente. Non solo: è ricomparso rispondendo alla chiamata sulla cosiddetta “linea rossa” del suo omologo americano Mark Milley. Il ministro della Difesa Serghey Shoygu si era sentito con il collega americano Lloyd Austin una settimana fa. Considerato che dall’inizio della guerra i russi non avevano più “risposto al telefono” alle chiamate dei corrispondenti americani, questo è un segnale positivo e interessante allo stesso tempo.

Innanzitutto è rassicurante che Gerasimov sia vivo e al suo posto: quali che siano le sue responsabilità nella guerra in corso, è un bene per il mondo che il custode fisico delle chiavi nucleari russe sia un militare intelligente e capace. A differenza di altri attori di parte russa, nel suo caso un’uscita di scena aprirebbe sicuramente la strada a un sostituto peggiore, viste le caratteristiche della gran maggioranza degli ufficiali di alto rango russi in questo momento. Valery Gerasimov aveva cercato – nell’ambito della sua riforma delle Forze Armate – di imporre una meritocrazia di tipo occidentale nell’ambito delle gerarchie militari; ma le sue riforme erano apparse estremamente indigeste a molti della “vecchia guardia” sovietica guidata da Shoygu, e molte di esse sono rientrate, prima fra tutte quella meritocratica. Così adesso le alte gerarchie russe ricordano quelle dell’Italia fascista, che come noto non brillavano per competenza (a parte poche luminose eccezioni), quanto per acquiescenza all’autorità politica. Mussolini si rese conto di questo problema quando era troppo tardi, e allo stesso modo se ne sta rendendo conto oggi Putin: infatti le “purghe” sono in atto, con destituzioni e arresti che stanno cambiando drasticamente la geografia interna delle Forze Armate russe. Con quali esiti, non è dato di saperlo.

Se le purghe fossero condotte con un minimo di criterio razionale, Gerasimov non dovrebbe esservi coinvolto: generali e ammiragli rimossi sono creature di Shoygu, e Gerasimov potrebbe quasi dire “ve l’avevo detto…”, ammesso che gli sia possibile farlo. Siccome però lo stesso Shoygu non sembra a sua volta calato nella stima di Putin, e davvero difficile capire a cosa potrà portare la riorganizzazione interna delle Forze Armate russe.

Così come per ora è difficile leggere dietro le righe dei contatti degli stessi Shoygu e Gerasimov con le loro controparti americane. Se si tratti di un approccio puramente tecnico fra i detentori delle massime capacità nucleari planetarie che ci si dovrebbe aspettare nel mezzo di una crisi come quella in corso, oppure qualcosa di più, possono saperlo solo i diretti interessati. Nel secondo caso, il più auspicabile, potrebbe significare che Putin ha finalmente rinunciato ad essere chiamato personalmente da Biden come sperava fin dall’inizio del conflitto, in modo da ricondurre la crisi ad uno scenario puramente bipolare come da lui sempre auspicato e magari concluderla con una nuova Yalta. Consapevole dell’aspirazione di Putin di essere riconosciuto come l’unica vera controparte di Washington, Biden gli si è negato obbligandolo a dialogare principalmente con Macron (presidente di turno della EU); così Putin a sua volta ha impedito i normali contatti fra i suoi sottoposti e i loro omologhi statunitensi. Il suo cedimento su questo punto puramente protocollare potrebbe indicare un inizio di ammorbidimento, conseguenza delle frustrazioni militari e della soddisfazione per la resa di Mariupol.

La ripresa dei contatti tecnici fra militari russi e americani però potrebbe anche essere il risultato di una perdita di potere dello stesso Putin, temporanea o perfino definitiva, con i nuovi responsabili della Russia protesi a cercare una soluzione ad un conflitto che non conviene veramente a nessuno, ma meno di tutti proprio alla Russia. Il fatto è che noi non abbiamo alcuna visibilità su quanto sta accadendo entro le mura del Cremlino, e possiamo solo fare supposizioni. Alla fine, la cosa più probabile è che si sia effettivamente trattato solo di una ripresa di un collegamento puramente tecnico. Ma è anche vero che se qualcosa dovesse effettivamente cambiare negli equilibri interni del potere moscovita, i militari americani sarebbero i primi ad esserne informati: per ovvie ragioni di carattere nucleare.

Torniamo quindi ai due militari russi di vertice: il professionista Gerasimov e il politicante Shoygu. Un tecnico e un fedelissimo di Putin, i cui subordinati hanno però deluso lo Zar e adesso stanno subendone le ire. I due uomini esprimono in realtà le due anime opposte dell’esercito russo: quella professionale e quella di regime. Dopo una sconfitta sul campo appare difficile possano sopravvivere entrambi alle conseguenti purghe. Prima dell’aggressione nazista, Stalin fece strage del corpo ufficiali dell’esercito su basi politiche; dopo il disastro dei primi mesi di guerra e con i tedeschi alla periferia di Mosca, eliminò anche i leccapiedi comunisti per rimettere al comando i militari più capaci, ribaltando in extremis in corso della guerra (con l’aiuto dell’inverno russo). Putin eliminerà i professionisti favorendo i più fedeli come Shoygu, o farà fuori gli incompetenti restituendo la guida ai tecnici come Gerasimov? Oppure cercherà di bilanciarsi in qualche modo tenendosi entrambi?

Già nei miei primi post ho espresso la mia convinzione che la campagna in atto NON sia stata disegnata e neppure approvata da Gerasimov proprio in quanto era concepita fin dall’inizio con criteri politici e non militari. Anche il raggruppamento affrettato all’indomani della sconfitta di Kyiv e la rinnovata offensiva nel Donbass avviata senza la necessaria preparazione, non corrisponde assolutamente alle linee guida della “dottrina Gerasimov”, e quindi ritengo che pure la seconda fase della guerra sia da attribuire nelle sue direttive più a Shoygu (e forse allo stesso Putin) che non a Gerasimov. Prendersela con lui sarebbe quindi oltre che meschino, anche stupido.

Ora che l’assedio di Mariupol sembra finalmente concluso, si renderanno disponibili le forze finora impegnate a condurlo. Queste forze però sono state logorate dall’attrito delle operazioni in ambiente urbano, e dovranno essere a loro volta “raggruppate”. Come già spiegato in passato, quella del raggruppamento è un’attività complessa e delicata che richiede del tempo. Se una brigata raggruppata viene gettata nuovamente in combattimento senza essersi ri-amalgamata al suo interno consentendo al personale di rifiatare e di abituarsi a nuovi compagni e nuovi comandanti, rischia di subire da subito perdite gravissime e perdere nuovamente la propria capacità offensiva senza ottenere altro risultato che fornire carne da cannone alla macina… Bene: se questi reparti (in larga parte ceceni) verranno rimandati immediatamente in battaglia nel saliente del Donbass senza un adeguato periodo di riposo e recupero, sapremo che i tecnici hanno perso la loro battaglia: Putin è ancora saldamente in sella e persegue caparbiamente i suoi obiettivi incurante delle perdite del suo esercito, e la guerra durerà ancora a lungo.

Se invece quelle stesse forze verranno raggruppate in maniera professionale, allora vorrà dire che il buon senso comincia finalmente a prevalere a Mosca.